lunedì 19 novembre 2012


Manlio Sgalambro, Franco Battiato e Luigi Carotenuto

presentano la plaquette di liriche

“Pourparler” di Selenia Bellavia

(ed. Prova d’Autore)

mercoledì 21 novembre,

alle ore 17.30, 

nella Pinacoteca

della Provincia Regionale

di Piazza Manganelli di Catania.

Introdurrà e coordinerà l’incontro

il Direttore Responsabile

de l’EstroVerso Grazia Calanna.

 

Ingresso Libero

sabato 14 aprile 2012

l’EstroVerso è un periodico culturale su Rai Letteratura www.letteratura.rai.it

l’EstroVerso  è un periodico culturale su Rai Letteratura www.letteratura.rai.it


Un nome, l’EstroVerso, per un duplice significato: l’inventiva del verso (pensiamo alla forza creativa della parola) e l’estroversione connaturata al desiderio di condividere (in libertà) due passioni indissolubili, scrittura e lettura.
l’EstroVerso, che rivolge peculiare attenzione alle riflessioni critiche, alla letteratura, all’arte e alla poesia, auspica l’attenta “partecipazione” di un pubblico esteso, senza limiti d’età, tant’è che tra le proprie pagine ospita (anche) la coloratissima rubrica Biblioteca Birichina, a cura della scrittrice pugliese Anna Baccelliere, impreziosita dalle squisite illustrazioni di Giordana Galli.
l’EstroVerso è una rivista con una cifra autoriale germogliata spontaneamente e altrettanto spontaneamente in crescita. Lo studioso Matteo M. Vecchio, di recente, dell’EstroVerso, ha scritto e, simpaticamente, sottoscritto: “teneramente raffinato, a livello anche editoriale. Per non parlare del livello dei contenuti. Un periodico letterario finalmente estraneo alle consolidate logiche curiali”. Sarà forse per questo che collaborano con l’EstroVerso, offrendo “con grazia” idee in gemme di scritti (preziosi), scrittori, poeti, giornalisti e artisti da tutta Italia e, di recente, anche dall’estero? Citiamo, da Norimberga, l’originale contributo, “A casa o lontano da casa”, della scrittrice e pittrice bilingue Alessandra Brisotto.
Numerose rubriche animano le pagine estroVerse.
Tra queste, ricordiamo:
Scrittura Creativa. Suggerimenti, dell’autore genovese Claudio Bagnasco;
L’Antro della Pizia, narrazioni inedite della scrittrice sarda Savina Dolores Massa;
Nulla dies sine linea, scritti irriverenti del saggista catanese Dario Matteo Gargano;
Le interviste ritratto, della poetessa veneta Gabriella Bertizzolo;
EscogitArte, accattivanti imbeccate artistiche della catanese Elisa Toscano.
E, ancora, l’Editore Racconta (Marsilio, Jaca Book, Prova d’Autore, Barbès Editore, Hacca Edizioni, Il Maestrale…), Allo specchio di un quesito (Alessandra Manzon, Michela Marzano, Alessandro Zaccuri…), l’Autore Racconta (Emma La Spina, Rosa Matteucci, Nadia Cavalera, Letizia Dimartino, Andrea Ponso, Gabriella Genisi, Elisa Ruotolo…) e Parola d’Autore (dedicata al valore intimistico e contemporaneo della scrittura con, tra gli altri, le inesauribili considerazioni di Franco Arminio, Eva Clesis, Giorgio Fontana, Marco Dotti, Antonio Castronuovo e Giovanna Frene).
Volendo fare un’incompleta mappatura delle partecipative penne, ricordiamo, da Milano, la presenza di Fabrizio Bernini con stuzzicanti riflessioni critiche; da Teramo, Carina Spurio, come da Catania Raffaella Belfiore, con urgenti e pungenti temi di attualità; da Caserta, Sandro De Fazi con recensioni letterarie; da Viterbo, Daniele Cencelli con screziate nozioni storico-artistiche. E, sempre, da Catania, Alfio Caltabiano, Luigi Taibbi e Vladimir Di Prima, rispettivamente, con le camaleontiche Filosofare, Notturni e Di Prima Nota.
Dell’EstroVerso non può negarsi il temperamento lirico lievitato con il fervido apporto del poeta e critico letterario Luigi Carotenuto, responsabile principalmente della rubrica Poesia e delle interviste a tema come quella rivolta ad Ada De Alessandri, moglie di Bartolo Cattafi, che ha voluto donarci una deliziosa testimonianza.
l’EstroVerso ha lo sguardo proteso con curiosità verso la poesia senza limiti di genere, scuole o indirizzi poetici. Ciò che più interessa sono l’originalità stilistica, la capacità emozionale e comunicativa di coloro che scrivono. Convenite?

Grazia Calanna (Direttore Responsabile l’EstroVerso)

(l’EstroVerso Registrazione Tribunale di Catania n. 5 del 9 febbraio 2007)

POESIA di Luigi Carotenuto su www.lestroverso.it

POESIA di Luigi Carotenuto su www.lestroverso.it

Libro delle laudi di Patrizia Valduga (Einaudi)
Il Libro delle laudi è un canzoniere dolente che procede a distici, mano nella mano - invisibile - del compagno amatissimo Giovanni Raboni. La rievocazione e celebrazione, dopo Requiem, del defunto consorte, amante e secondo padre (“Amore padre”, scrive) attraversa l'intero libro anche quando l'autrice si confessa e sconfessa, come nella seconda sezione, quella dell'autoanalisi, dove, nel mezzo di toni enfatici, da recitazione sopra le righe, si distinguono sommesse voci dal sincero spaesamento esistenziale. Lo scavo psichico rende spazio a confessioni, seppure apparentemente si avverta un'impalcatura scenica (alla maniera di Giovanni Giudici per intenderci) teatrale, illuminanti. È la sezione migliore del libro, zeppa di colori, narrazioni, aspetti introspettivi legati alla memoria del cuore e dell'infanzia, scissioni dell'io e desideri segreti. L'andatura dei versi è franta, claudicante, i punti di sospensione ossessivamente presenti sono il balbettìo, la voce singhiozzante della Valduga amareggiata da una perdita insostituibile. L'ultima sezione si scaglia contro la carta stampata, l'invettiva ai giornalisti ha un nobile precedente  nella poesia satirica Capitolo sul giornalista (1813) di Ugo Foscolo, l'autrice denuncia il “vilipendio della letteratura” da parte degli addetti alla cultura del nostro Paese. Confessionale, teatrale, tragica, la Valduga continua il suo percorso lirico nel segno di un rigore metrico formale che, come ha scritto Stefano Giovanardi, fa “da argine nei confronti di una piena sensuale altrimenti incontrollabile”.

Yellow di Antonio Porta (Mondadori Lo Specchio)
Un tripudio dei sensi, esaltazione della vita. Ecco la poesia di Antonio Porta. Un vitalismo onnivoro che abbraccia ogni cosa in un amplesso costante e rigenerante. Anche la morte viene trascinata in questo trasporto vitale dal poeta (cfr. La felicità del ritorno). Dunque quanto mai felice la scelta di pubblicare postumo (nel 2002), grazie alla perizia della compagna Rosemary Liedl e l'acribia di una studiosa attenta come Niva Lorenzini (che ha curato il volume insieme a Fabrizio Lombardo, autore delle note), questo quaderno di appunti, progetti, annotazioni e versi sparsi, incompiuto a causa della morte precoce dell'autore. Lavori in corso di un poeta dalla “rara inquietudine” (come ricordava Anceschi citato nella preziosa postfazione) che ha lasciato un segno tangibile nella poesia del Novecento e, forse ancor più, in quella di inizio secolo. Vivace, vivida, violenta, la lingua di Porta, incide, agisce sul tangibile e l'onirico (costante la presenza della realtà psichica) sempre nei segni di un approccio legato al reale, all'oggetto e all'essere in atto. Dio stesso viene avvicinato, fraternizzato, rimpicciolito per amore “(dio con la minuscola / è amore non offesa)”, molto presente è l'ossessione del tempo, visto come privazione, ostacolo da eludere o cancellare (“Lei non sa nemmeno che cosa è il tempo. Lo cancella anche per me con i suoi atti e gesti di crescita”, scrive parlando della figlia), attraverso l'occhio bambino (e viene in mente la verginità di sguardo che Sanguineti attribuiva alla poesia). Una poesia per sua stessa natura ottimista, attiva, che si fa canto forte e sicuro (“ogni giorno può rinascere / e canta sulle pagine bianche”), o, in questi versi-testamento, che sfidano il dolore, la morte e il nulla: “la mia vita è stata felice / la mia infelicità totale, / venga, se ha coraggio”.

Morte de uma estacao di Antonia Pozzi
(scelta e traduzione di Ines Dias)
postfazione Matteo M. Vecchio
prefazione Jose' Carlos Soares

La poesia di Antonia Pozzi (della quale quest'anno ricorre il centenario dalla nascita), trova, grazie alla cura, lo studio e la passione di Ines Dias, diritto di cittadinanza portoghese. La traduzione è quanto più possibile fedele all'originale, grazie anche alla familiarità di una lingua che conosce bene la malinconia delle stagioni morenti. La Pozzi colpisce per la precoce maturità stilistica e la pronuncia ferma, la capacità di osservare il paesaggio nella chiarezza di sguardo (sguardo che le ha permesso notevoli risultati anche in fotografia, ci restano sue foto emblematiche come quella delle rondini sui tralicci), una poetessa lontana dai meccanismi editoriali, come ricorda nella documentatissima e particolarmente acuta postfazione, lo studioso Matteo Mario Vecchio, il cui suicidio avvenuto a soli 26 anni, offusca la portata autonoma dell'opera. Certo, in ogni autore la biografia dà linfa all'opera e viceversa, ma come i veri poeti la Pozzi sfugge a qualificazioni esclusivamente biografiche. Una voce perentoria e assolutizzante, unica per lirismo e precisione lessicale, efficacia visiva, che tratteggia stati d'animo in immagini aurorali dove la presenza della morte è mitigata da una densa concentrazione immaginifica. In Pensiero scrive: Avere due lunghe ali / d'ombra / e piegarle su questo tuo male; / essere ombra, pace / serale / intorno al tuo spento / sorriso.
“Affari di cuore” di Paolo Ruffilli (Einaudi)
Recensione di Grazia Calanna su Belli da Leggere www.lestroverso.it

“La combinazione nella continuità, l’incastro più assoluto”. Contaminazione olfattiva, gustativa, tattile, uditiva, visiva. Nitida sinestesia. “L’amore è la poesia dei sensi”. Leggendo “Affari di cuore” di Paolo Ruffilli (Einaudi) guizza la riflessione di Honoré de Balzac. Spicca, di verso in verso, la pluridirezionalità dell’intimo sentire. La coscienza  pulsa. “Infelice della mia felicità”. Rolla incessante, come al braccio di un valzer d’andamento lesto. Proustiani retaggi gli odori, sfamano i ricordi, “ritornare da te,  almeno con il naso”, esaltano l’immaginazione, “è una caccia  che, di colpo incosciente dentro il sogno, mi lascia più sfibrato”, avvampano il desiderio, “vita che ho raccolta e catturata avvolta nel suo odore di scoperta mai esaurita”. Percezioni d’occhi e di mani che si muovono con l’alito “cannibalesco” del “più ti mangio, più mi metti fame”. Le schiavitù del corpo a corpo, “chi cattura vuol farsi prigioniero”, del sudore rimestato al sangue, “squartati l’uno nell’altra beati”, del delirio, “la nostra convulsione di versarci addosso l’una dell’altro in un assalto di pura conoscenza”, del dubbio, “chi usa la testa, chi si affida al cuore e tutti e due i modi possono sbagliare”. Leopardiano indugio, permea, penetra il testo valicandolo fino a pungere il lettore, “amputato dall’attesa”. La letizia dell’affrancamento, “se non ti amo più, però ti ho molto amato e non è stato vano perché, perdendo, mi sono ritrovato”. Dell’enigma, “è in quel remoto soffio dentro al cuore che ognuno riconosce il suo destino”. Dell’illogico, “amore che non cessa di amare nel difetto”. Canti unanimi, intrappolano in una spirale di pulsioni dissennate quanto la provvisorietà globale dell’uomo piegato, suo malgrado, al diktat della casualità, “un attimo e la vita ti appare ribaltata”, e, illusoriamente, all’effetto placebo del tempo che “sfoca e fa dimenticare” rendendo “al tatto tutta la sorpresa”. Ancora, zampilla, di foglio in foglio, il sogno di un “interminabile secondo”, di colui che “amando ha rinunciato”, che “aprendo i cuori dilata i pori e le fessure fino a farne falle, passi e gole”, che “scende nel profondo”, che “trova il suo  posto inaspettato”. Corposità del respiro guardiano di un cosmo che aggiorna “dietro la piega” di “viso addormentato”. L’autore indaga il mondo dall’alcova, esclusivo “campo di battaglia”. S’affaccia sui purpurei mercati “dell’amore perduto”, scorge “il piacere di essere riamato”, la “fiera vanità”, la “tenerezza dentro la passione”, le (insane) virtù degli infelici, “la gioia dell’amante nell’amato”, e, con lampante influsso gibraniano, la (discutibile) percezione della profondità dell’amore dopo il distacco, “ho cominciato a amarti appena mi hai lasciato”.
GRAZIA CALANNA

venerdì 10 febbraio 2012

L’apprendimento elementare (Mondadori)
recensione di GRAZIA CALANNA

La prodigiosità del quotidiano in un policromo ventaglio visivo. Acquerellare l’odierno con primitivi pennelli, arditezze distillate dall’occhio illibato di un veterano fanciullo. “Ciò che siamo è invulnerabile”. Narrarsi narrando, denudandosi, affrancandosi dall’artica prigionia dell’incomprensione. A principiare dal titolo, “L’apprendimento elementare”, edizioni Mondadori,  distintamente, emergono due spunti inerenti le liriche di Fabrizio Bernini. Uno tematico, l’apprendimento imprescindibile, l’altro stilistico, l’ironia capillare. Imparare, nel senso primigenio di apprendere coll’intelletto, è tutt’altro che elementare. Il poeta anela l’apertura di un valico, “solitudine immaginaria”, percorre a ritroso il proprio personalissimo tratto temporale delineando, tra amarognole contentezze e malinconiche panacee, particolari, “ho messo le dita nella poca neve che ormai non cade da anni e mi è sembrato di bucare un corpo inutile, come il nostro”, e luoghi dell’anima, “il tetto di casa mia è il tetto della scuola. Visto da quassù sembra un cappello dove il sole sbatte scivola sugli spioventi, sgocciola nell’ombra”, distintivi di un itinerario che diviene universale. Lo sconquasso del tempo sul filo reciso della prevedibilità, “così diversa è la vita se il caso ti sceglie”, ciondola, avanti indietro, sull’onda corta di fiati orchestrati dalla dubbia clemenza del vento, “qui tutto ormai è prospettiva”. La solitudine si specchia “sui sassi lucidi” e il dolore, segreto come lo è “ogni posto”, fermenta “con le lacrime morse nei denti”. Invero, “comprendere è impensabile”, ciascuno “è freccia e bersaglio”. Giovinezza, “ti penso da questi luoghi con la schiena sul ciliegio e l’acacia”, e senescenza, “parla ai suoi anni, messi in ordine nelle pelle scalpellata”, l’una al cospetto dell’altra, identiche, se non nell’esperienza, nel rovesciamento, il vecchio “credeva alle piante e ai fiori”, il ragazzo “li avrebbe pestati quei fiori”. In un mondo asfissiato dall’asfalto, dalla “plastica in bocca e tra i denti”, l’autore osserva l’evidenza dell’eguaglianza di fronte al bisogno, “come bestie, torniamo a casa di sera”, e, con essa, l’impellenza del riparo, “tutto andrebbe conservato, così come la memoria tiene ogni cosa senza farcelo sapere”. Pagine trasudanti, “visione d’immenso”. L’inquietudine esistenziale, “grama battaglia contro il feltro del cuore”. L’alienazione della reiterazione, scordando “quello che andrò a rifare”. L’emancipazione dal dubbio, “il mistero non c’è mai stato, non cercatelo più. Tutto sta in questa parabola breve, ognuno sente per l’ognuno che è”. Accenti (acuti) sulla facoltà di  fantasticare. Salvifico incanto vitale, a ciascuno il proprio “bivio di pensieri”. Immaginare “corpi dietro le pareti, fiati a tempo dentro al sonno, le coperte tiepide, tutti i particolari di un sogno, le vere frenesie di ogni coscienza”.   

(La Sicilia Cultura 09.02.2012 – www.lasicilia.it)

lunedì 6 febbraio 2012



“Ad alta voce”

Inaugurato con successo il progetto culturale
guidato da Salvo Patanè, Pietro Barcellona e Mario Grasso


Venerdì 3 febbraio, a Giarre, nella sede “Liberi e cittadini”, è stato inaugurato con successo “Ad alta voce”,  progetto culturale guidato da Salvo Patanè, Pietro Barcellona e Mario Grasso. “Voci "isolane" racconteranno se stesse, le loro opere, la loro terra per fornire uno spaccato del nostro tempo e dei nostri luoghi. Le isole, come le città, come sono emerse sono destinate a scomparire in una prospettiva di lunga durata. L'intento del progetto è quello di far (ri)vivere l'isola che è in noi e attorno a noi, nel tempo, grazie all'incontro di queste personalità che hanno fatto della parola (poetica, saggistica, romanzesca, musicale, o artistica) il centro gravitazionale delle loro vite e di uomini e di studiosi o creativi. Incontro/scontro tra isole da cui nascerà connessione, contaminazione e quindi diversità e ricchezza intellettuale. Chi parla e chi ascolta compirà un lavoro su di sé, e sul territorio, per costruire nuove e buone città formate da nuovi e buoni cittadini - - ha detto l’architetto Salvo Patanè, vice presidente della Commissione consiliare Cultura della Provincia regionale di Catania “. “Realizzeremo – ha detto Mario Grasso – un confronto tra diverse generazioni. L’idea è quella di offrire un panorama delle nostra realtà, della nostra cultura da intendere in termini di sentimenti, costume, ecc… la volontà è quella, al termine, di realizzare un documento che, ci auguriamo, possa fare da stimolo per gli operatori culturali della zona. La dott.ssa Daniela Saitta che, al termine del programma di incontri,  curerà l’edizione in volume corredandola con un suo saggio di approfondimento critico”. “In un momento in cui i potenti vogliono persino facci dimenticare che abbiamo un corpo – ha aggiunto Pietro Barcellona -, incontrarsi è un fatto eversivo. Non riusciamo più a raccontarci perché non stiamo più insieme. Dobbiamo difendere il nostro cervello raccontando, il racconto deve essere il simbolo di un riscatto culturale”. Questo il programma degli incontri culturali che si terranno tutti alle ore 18 nella sede “Liberi e cittadini” di Giarre, in Piazza Bonadie 7, con i relativi illustri ospiti: il 18/02 incontro con Maristella Bonomo e Giuseppe Raniolo; il 2/03 incontro con Maria Allo e Francesco Foti; il 16 /03 incontro con Luigi Taibbi e Dario Consoli; il 30/03 incontro con Lio Tomarchio e Paolo Sessa; 13/04 incontro con Giuseppe Piazza e Isidoro Raciti; il 27/04  incontro con Aurora Romeo e Luigi Carotenuto; l’ 11/05 incontro conclusivo con Mario Pafumi e Grazia Calanna. Nel corso degli eventi programmati con i poeti, ai quali presto presto si aggiungeranno altri incontri  con intellettuali e scrittori di fama nazionale, è prevista la presenza di Alfio Patti, Salvatore Scalia, Carmelo D’Urso, Beppe Testa, Giacomo Leone, Domenico Trischitta, Salvo Andò, Enzo Mellia, Giuseppe Giarrizzo, Nicolò Mineo e Renata Governali.


venerdì 3 febbraio 2012

POESIA  Nei versi della Spallino alchimia e dialogo
 di GRAZIA CALANNA (La Sicilia Cultura 02/02/2012)
 “Tavolozze di alfabeti”, rievocano onirici, eppur tangibili, “frammenti” di un passato sempre nuovo, odierno “presagio di nascita” in un mondo da frugare “a piene mani” per rischiararne i sentieri cupi, “ancor privi di braccia e di stelle”. “Franchezza intransigente” e, “fra i geroglifici dell’attesa”, l’inquietudine aliena del dubbio, “speranze ancora da inventare tra i riquadri del desiderio”. Parliamo della silloge “Non io poeta” di Valeria Spallino, edizioni Prova d’Autore. Liriche, ora elegiache, “dolore ha il peso di scarpe logore nella neve”, “lacrime di rugiada su petali di cuore spaginati”, ora gioconde, “la gioia è volteggio di piuma non lascia orma se non traccia lieve da pettirosso sulla sabbia”, pervase dal palpabile desiderio di ricercare, congiuntamente, verità, amore e bellezza. “La poesia - risalta la Spallino -è contraddizione di moltitudine che mira all’unità. È un dialogare con se stessi e, nel contempo, diventare altro da sé, rivelarsi e superarsi al medesimo istante. È alchimia. Il tentativo impossibile, necessario, di raccontare il non esprimibile, di rendere visibile l’invisibile, procedendo per intuizione, per piccoli lampi alla meta, pennellature. Poesia è ascolto, accostamento, suggerimento, traduzione. Un insondabile segreto, un vuoto che necessita d’essere colmato, dal poeta al lettore, attraverso la realtà, fino all’universo”. L’autrice si esprime per cardini concettuali densi di locuzioni allegoriche e fantasiose, “gli uomini infrangono lo specchio del cielo, recidono un fiore, sgomentano l’universo”, “cespugli d’ombra irrompono il manto sottile dell’erba, caparbia fra le pietre, e un fremito leggero increspa pensieri appena timbrati”, “baratteremo scommesse di stagioni perdute, gusteremo l’infinito”. Risalta, anche beffardamente, l’amore per l’istintività dell’arte nelle più svariate accezioni, “parola mia d’architetto (no, non porto cravattino), il ragno è il miglior professionista, in lui ideazione arguta e manovalanza, a prova di qualsivoglia certificato”. E, dona, guizzante, l’omaggio a Federico Garcia Lorca, “segreti sottovento stringono mani a pontili tardivi di stelle come buchi, cercherò l’alito che sostiene tutte le cose”. Un canto in versi sublimante immagini, “solitaria memoria”, che affondano radici nelle propaggini epocali, “il tempo misura lo scalpello degli anni poi disordina lo spazio”. Appurata, tra le funzioni della poesia, quella di “far strada verso noi stessi”, s’alza, “nel fragore dell’alba”, un richiamo alla presa di coscienza, via di salvezza per un astro in cui “balzi di carta avanzano stampa di cronaca sterile che non redime, incapace com’è la coscienza di avanzare”.
 “Ad alta voce”
Questo il programma degli incontri culturali con i relativi illustriospiti: (il 3 febbraio 2012  ore 18)  incontro inaugurale con Pietro Barcellona e Mario Grasso, letture di Giuseppe Raniolo; (il 18 febbraio 2012 ore  18), incontro con Maristella Bonomo e Giuseppe Raniolo; (il 2 marzo 2012 ore 18), incontro con Maria Allo e Francesco Foti; (il 16  marzo 2012 ore 18) incontro con Luigi Taibbi e Dario Consoli; (il 30  marzo 2012  ore 18) incontro con Lio Tomarchio e Paolo Sessa; (13 aprile 2012  ore 18) incontro con Giuseppe Piazza e Isidoro Raciti; (27 aprile 2012 ore 18) incontro con Aurora Romeo e Luigi Carotenuto;
(l’ 11  maggio 2012 ore 18) l’incontro conclusivo con Mario Pafumi e Grazia Calanna

domenica 29 gennaio 2012

Recensione di Grazia Calanna - Il cinema brucia e illumina di Andrea Zanzotto (Marsilio)

“«ciack!» - Federico -, è il tuo circo che erutta e deflagra con gusto, vi piroetta e saetta la festa che maschere appioppa o strappa: possa ognuno della folla che alla tua giacca s’aggrappa conoscere almeno se ha la parte del Bianco o dell’Augusto!”. Versi di Andrea Zanzotto onorano l’amico  Fellini, bulbilli di una riverberante raccolta, “Il cinema che brucia e illumina”, edizioni Marsilio, che compendia articoli, lettere, liriche e pagine inedite dell’imperituro umanista veneto intitolati al diletto cosmo cinematografico. “Non poteva restare insensibile al fenomeno linguistico e sociale che il cinema così pervasivo nella vita del Novecento, su cui ha depositato tracce profonde, proprio un poeta che quel secolo ha attraversato e per il quale l’atto di vedere è all’origine di molti suoi versi”, sottolinea Luciano De Giusti, curatore della selezione. Suggestive memorie quelle dell’autore che, in “Ipotesi intorno a «La città delle donne»”, secondo una linea di continuità felliniana, “il cinema in quanto seduzione irresistibile è qualche cosa di femminile, nella sua essenza”, chiarisce che “parlare del cinema è parlare della donna. La donna-cinema seduce perché rivela, come in un angosciante e dolcissimo titillamento, quella parte di irrealtà che è in ognuno, e che è tale solo per poter aprire il nulla di ciascuno ad una cosmica comunità”. Altrettanto, seducenti, lo sono quelle legate al lungometraggio «E la nave va», “sospeso tra angoscia e disincanto, tragicità e grottesco, ricco di riferimenti al moto reale della storia europea di questo secolo ed insieme sotteso da una complessa trama di valori simbolici”. Sostanziose le considerazioni attorno alla pellicola “Teorema”, datata 1968, consacrata all’infuocato tema dei rapporti interfamiliari, da considerare, rimarca Zanzotto, “come la sintesi rappresentativa della presenza di Pasolini, specie nella direzione di una poesia totale, capace di inglobare tutto in sé”. E, ancora Pasolini, presente in maggior misura con la propria “assenza che porta molti a chiedersi cosa farebbe o direbbe di fronte all’incalzare di fenomeni degenerativi della società ben al di là delle sue pur tragiche previsioni”. Non ultima, risalta, in “Motivi di un candore”, la figura di Nino Rota, il compositore “sembra volerci aiutare a ritrovare, come un folletto, quell’intramontabile deus gentile che è insito nella musica stessa”. Riflessioni invitanti, taglienti, sulla “derealizzazione” prodotta, sin dalle origini, dal cinema; sull’imminente genesi di muti “paradisi visuali”; sul  nostro vivere un tempo “damnatio memoriae”, fatuo, svuotabile, volto alla rimozione di memorie riservate ai posteri.
GRAZIA CALANNA


GRAZIA CALANNA. L’AZZURRO DEL BENE

GRAZIA CALANNA. L’AZZURRO DEL BENE
(note critiche di Mario Grasso al libro Cono Silente di Grazia Calanna)
Per ogni nuovo poeta che scopriamo si accende una luce che prima non c’era.
Diciamo una luce per dire che qualcosa di magico si aggiunge alla capacità di capire probabili frammenti della vita e del suo mistero. Perché mistero è la vita e non solo per la imprevedibilità che in essa si annida, quanto per gli stimoli che ogni presenza di vita provoca intorno a sé, stimoli per reazioni che si manifestano per innestarne altre, e all’infinito. Grazia Calanna ha esordito da poeta dando alla silloge un titolo allusivo verso due miti della vita umana, il tempo e il silenzio .
(Crono silente – pagg. 80 - € 10,00 – Prova d’autore). È importante leggere quanto ha scritto nella sua impetuosa prefazione Savina Dolores Massa, una rapida sintesi che tanto contiene e più dimostra. Onestà di lettore vuole che si riconosca nella centrata definitorietà dell’intervento della prefatrice il grumo centrale di quanto Grazia Calanna ha distillato, con disinibita franchezza, quasi a proporre un canto ossimoro rispetto alla promessa (pur pienamente onorata) del titolo. Il fatto è – potrebbe essere avanzato – che il silenzio caratterizza chi ha riserve di cose da dire sulla umana condizione, e per dirle non ricorre al filtro dell’ambiguità ma al machete-maglio della propria verità, quasi a farne omaggio a quella inconfutabile regola che identifica la letteratura nella vita e non certo per la contingenza di ripararsi sotto un libro-manifesto del secondo decennio del secolo scorso: “Letteratura come vita” di Carlo Bo (1929). E dire che, quella volta, si era già appena alla soglia della stagione ermetica. Una stagione che fu amata dalla poesia e che resiste nella sua formula di calcolate reticenze, forse in omaggio a una delle pretese della lirica che privilegia i luoghi dell’inespresso, che rifugge i momenti del didascalico e del parenetico, per esorcizzare il pericolo del moralismo. Eppure proprio questa ultima considerazione potrebbe celare un limite assurdo al momento di poter essere adattata alla poesia. Perché la poesia è anzitutto la ricerca e l’affermazione del vero. Forse perché il vero è la parte nobile e destinata a sopravvivere, forse perché la verità è amata e cercata da tutti (come la poesia, appunto) anche se, ironia della sua sorte, la verità offende. Proprio così. Ma Grazia Calanna non propone offesa alcuna quando ci ricorda con i versi iniziali di “Briciole”, che “C’è chi concede briciole / avaro / C’è chi si sbriciola / altruista / C’è chi finirà in briciole / avido / C’è chi di briciole risorgerà /azzurro”. Il colore azzurro è qui significativo e può invitare a curiosare nella tavolozza dei colori che si succedono in “Crono silente” spesso accompagnati da riferimenti termici che complementano di allusività palesi le proposte della poetessa. Infatti i colori in Crono silente sono tanti, e il loro non è un ricorrere né un ricorrersi, se ne coglierà pieno il significato valutandone il pendant con le temperature, che tendono ai valori alti. Lasciamo ai lettori il piacere di scoprire la scala delle temperature, in Crono silente e segnaliamo quella dei colori. Ed ecco come, tra grigi pag.19 e 42; pece, pag. 20 e nera pag.45, si giunge al plumbeo (pagg. 38 e 49) e dall’ebano i pag. 27 al cinerino della successiva al bianco della 29. In controtendenza con il vermiglio di pag. 18 che si coniuga al porpora (pag.37) e ancora allo scarlatto (pag. 56), isolando il rubino di pag. 40. L’azzurro e il celeste (pag. 44 e pag.56) negano il bianco e relegano il “buio” nel suo ricorrere tra le pagg. 22, 34, 37…. Lasciamo fuori, anche stavolta al piacere dei lettori, le centrate figuralità simboliche ma solo altro tra i segni rivelatori, che confermano la lealtà della scrittura creativa di Grazia Calanna, forte di tensione interiore autentica quanto “silente”, proprio in arrendevole intelligenza con le esigenze inesorabili del Tempo-Crono. Non resterebbe che il tentativo di entrare nel merito della forma. Banco di collaudo per la letteratura in genere, per la poesia in particolare. Ed è su questo fronte che si è chiamati alla responsabilità di definire quanto possa essere destinato a separare i momenti della cronaca da quelli della letteratura come vita. Un momento che si affida all’evidenza proprio nel caso di questo esordio di Grazia Calanna, che ha scelto di raccontare i momenti dell’inesprimibile subliminale ricorrendo alla formula di un diario in pubblico, tra le cui pagine non si svolge il canto di quanto raccolto o ripudiato, visto o ascoltato, ma il fedele diagramma di un’anima che reagisce, il tracciato di un percorso di sensibilità offesa, che ha disegnato i confini oltre i quali c’è l’azzurro del bene, più come ipotesi e speranza che come tesi ed esperienza. Un mondo nel quale non c’è molto da scegliere oltre “Conforme conformante conformismo / Catene impermeabili / schivano il temporale perenne di un tempo / asservito all’antropica silente stoltezza”. Ecco l’imporsi della propria verità a dar nome e immagine all’inesprimibile, che tale finirebbe di essere se tautologicamente si ponesse fine, per sempre, all’ipocrisia e al pecorume del “come l’una fa le altre fanno”. Infinite sono le vie per dire il vero, Grazia Calanna ha scelto quella più semplice, quella di un tipo di spontaneità che fu tanto cara a Umberto Saba, il poeta che ci ha lasciato per insegnamento che “La notte vede più del giorno”, una lezione che Calanna porta in sé con fiera consapevolezza e umile approccio, anche per non urtare più di quel tanto il “conforme conformante conformismo”, nel quale chi più chi meno, tutti continuiamo a vivere immersi, anche nei momenti in cui ci ergiamo a giudici degli altri, trascurando di giudicare, anzitutto noi stessi.
(Mario Grasso)



mercoledì 25 gennaio 2012

Penne EstroVerse Itinerante …

Successo per la presentazione del libro Porco hermes
di Dario Matteo Gargano


L’associazione culturale Estrolab editrice del periodico culturale l’EstroVerso (www.lestroverso.it) con il patrocinio della Provincia Regionale di Catania per il ciclo Penne EstroVerse itinerante  ha presentato con successo il libro intitolato “Porco hermes. L'artista esegeta in groppa alla przevjalski dell'esistenzialità linguistica” di Dario Matteo Gargano, edizioni Prova d’Autore. “Un saggio – ha detto la giornalista Grazia Calanna, Direttore Responsabile del periodico culturale l’EstroVerso, moderatrice dell’incontro”, intitolato alla funzione linguistica della poesia arricchito, nella seconda parte, da diciassette  liriche scritte in parodistico stile aulico. L’autore, caustico, risonante, argomenta a ritmo serrato, osservando come,  al giorno d’oggi, il fine di esibire al pubblico rappresenta, nitidamente, l’errore che si cela dietro le logiche economico-consumistiche della cultura.  Inoltre, Gargano, all’interno del proprio lavoro, invitandoci alla riflessione, evidenzia l’imperante “borghesizzazione del gusto” e con essa la diffusa credenza che  l’arte è arte - solo - se viene venduta. Viviamo, dunque, in un epoca di “Gogne culturali” estirpabili soltanto mettendo in atto il non asservimento della poesia”.  Dario Matteo Gargano – ha detto il relatore,  prof. Mario Grasso, Direttore Letterario Prova d’Autore -, ha blindato l’accesso alla sua silloge d’esordio ma non ha buttato le chiavi. Anzi le ha scrupolosamente consegnate ai lettori con un personalissimo exursus introduttivo (L'artista esegeta in groppa alla przewalski dell'esistenzialità linguistica"), che fa pensare all’uso del bario, il metallo liquido che agevola la leggibilità del recondito nei momenti delle radiografie intestinali. Potrebbe essere in questa apparente casualità dell’arte (non più povera ma letteraria) un meno apparente castigo, destinato ai domenicali in autoterapia letteraria. Ai parrocchiani gravidi di poesia, a quanti ciociano all’ombra dei mecenati politici elargitori di pubblico denaro. Ai reggitori di grondaie (e botole di chiaviche) civiche per i serbatoi estivi, per l’innaffiata agli allori paesani. Fatevoi, ci direbbe Dario Gargano, intanto vado per satira; per cosa penso e come. Del resto – si potrebbe obiettare, affiancandoci spontaneamente al poeta, che una operazione come la sua entusiasma chi, guardando verso l’alto mare e scorgendo la persistente bonaccia che fa restare in porto le vele in attesa del vento, intravede nella ricerca di Dario Matteo Gargano un segno di libeccio generazionale (proprio, appunto, della generazione dei più giovani di oggi) rigenerante, che sembra scaturire da quella fondamentale lezione di Giorgio Manganelli di cui citiamo la parte centrale (“e centrifuga”, potrebbe insinuare beffardamente Gargano). Scriveva mezzo secolo fa Manganelli a proposito del poeta: “Non può tener discorsi, non può commentare, non ha pareri, non consente né dissente; ma gli si concede, anzi si vuole che egli straparli, scioccheggi, strologhi, berlinghi, fabulu e affabuli, concioni agli inesistenti, spieghi carabattole, ed a se stesso dia torto e ragione, si insulti ed approvi, si accetti e ripudi. In quel che dice molte materie e qualità si invischiano: ma non mai la verità, e non mai il suo contrario(…)”. Giorgio Manganelli adesso non è più con noi perché se ci fosse stato ancora avremmo chiesto proprio a lui di scrivere la prefazione a questo Porco Hermes d’esordio di Dario Matteo Gargano. E ne sarebbe stato entusiasta”.  Ha concluso lo scrittore Vladimir Di Prima congratulandosi con Gargano per la divertente genialità che caratterizza il pregevole testo. 


venerdì 20 gennaio 2012

Fervet opus di Grazia Calanna (www.lestroverso.it)

Fervet opus  di  Grazia Calanna


 Certo che “è più facile chiedere ai poveri che ai ricchi” ma, davvero, Čechov converrà, questa non è soluzione della quale abusare ignorando, ostinatamente, come accade, che imboccando miseria agli indigenti la percentuale di povertà (a scapito del pane) arde (lievita) a dismisura con la logica (sicura) conseguenza di ritrovarci tutti, nessuno escluso, dentro al forno (peggio che in grembo al Toro di Falaride). E, frattanto, tra plurimi sos lanciati al Presidente, rammarica (anche) quello per scongiurare la sospensione, o peggio, la chiusura di una cifra crescente di testate. Giustappunto, eccovi la nuova versione del periodico che mi pregio di dirigere. Siate clementi, chi scrive non è un grafico, si è improvvisato tale. Puro spirito di sopravvivenza. Fortuna che (rifuggiamo falsa modestia) è un numero ricco di contenuti (unica cosa importante, giusto?) grazie alla generosità di coloro i quali (il piacere di “scoprire” i nomi alle vostre oculate letture) hanno “dato e fatto con grazia”, offrendo  idee, gemme di scritti (preziosi). Del resto, e vi lascio con  Albert Camus, la vera generosità verso il futuro non consiste nel  donare tutto al presente?

(l’EstroVerso - n.1 // 2012)


Recensione Rubrica Belli da Leggere a cura di Grazia Calanna su www.lestroverso.it

Da Moby Dick all’Orsa Bianca
di Anna Maria Ortese
Adelphi


Scritti suadenti, distinti da raffinatezza, levità, trasporto, dolcezza, umorismo, esplorazione, amore, come quello per la lettura, che si rivela “fra le passioni più belle della vita, spazio del diletto e del riposo dell’anima e insieme della costruzione del senso del suo essere nel mondo e del suo starvi da scrittrice”, abbracciano, dal 1939 al 1994, un lungo periodo di intensa attività giornalistica. Parliamo del libro,  curato Monica Farnetti, “Da Moby Dick all’Orsa Bianca” di Anna Maria Ortese, edito da Adelphi, che si schiude con una deliziosa narrazione inerente il “Pellegrinaggio alla tomba di Leopardi”, il giovane favoloso, colui che “ebbe e ci diede il senso dello spazio, del tempo, e, con esso, lo sgomento della nostra piccolezza, l’affannato interrogare, il ripiegarsi muto”. Straordinari i capitoli intitolati: a Cechov, leggere una sua pagina, riflette l’autrice romana, “è come mettere l’occhio su un vetro nitidissimo e guardare sotto scorrere la vita”; alla ragazzina di Amsterdam, Anna Frank, all’innata “esigenza di verità”, alla capacità di “resistenza al male” - dovunque esso sia - e al suo “diario esemplare”, custode di “un mondo che dura due anni, ma è eterno, perché è di tutti i tempi e di tutti i luoghi”; a Eduardo De Filippo, “inimitabile, incantevole evocatore di tutto un mondo e un costume in apparenza piacevole, in realtà cupo e disperato, un mondo e un costume che si dibattono ai margini della vita moderna, della ragione umana, costruttiva, senza comprenderla né esserne compresi”; a Dino Buzzati, a “quella sua facoltà più che umana, misteriosa e tranquilla, di avvertire, nella solitudine, la solitudine degli altri; di carpire, solo in apparenza immobile, la paura e il dolore del mondo”. Ancora, singolari gli spunti offerti dalle letture del “Ritrattino del Dandy” nel quale si ricorda Baudelaire, colui che “ha lasciato una immagine del dandy superiore a quella suggerita da qualsiasi altro scrittore”, e di “Cristo e il tempo” dove è rammentato che “siamo appena l’altra parte dell’Universo, dov’è posto il sigillo, siamo il primo Enigma, che aspetta in eterno - senza porre vere domande - una risposta già venuta da duemila anni, e che il silenzio, e l’atrocità del silenzio, vanno ora mutando in giudizio”. Nel contempo esilarante, caustico e meditativo “Il piacere di scrivere” che, schiettamente, premessa l’italianissima (pretesa) vocazione, bacchetta “ogni abitante-scrittore” che se ne sta sul proprio “manoscritto come il bambino, a tavola, col mento nella scodella, sogguardando la scodella, cioè il manoscritto, dell’altro: e se quello è più colmo, sono occhiate, lacrime…”. Un modo per dire che dovremmo cessare di stendere soliloqui per piacere a noi stessi o, peggio, agli altri. Un’esortazione a rispolverare il valore autentico della letteratura, “un richiamo, un grido che turbi, una parola che rompa la nebbia in cui dormono le coscienze”.
Grazia Calanna

Recensione Poesia a cura di Grazia Calanna su www.lestroverso.it

“Fragmenta”
di Giorgia Zuccaro
Giuseppe Maimone Editore


“Fragmenta” di Giorgia Zuccaro, è una silloge (Giuseppe Maimone Editore) che raccoglie, in linea cronologica, versi fioriti dagli anni della pre-adolescenza ai nostri giorni. È la storia, meglio, “il romanzo di formazione di una vita che ricerca il senso prima dentro alle parole dei cari maestri e poi dentro il Sé”. “La genesi spontanea di queste poesie -  afferma il prefatore, prof.   Paolo Bellia - costituisce una cattura di contenuti elevati trasposti verso il basso e l’ermeneutica corretta dovrebbe tendere alla ricostruzione degli altri significati ispiratori in un moto di risalita piuttosto che seguire un percorso discendente verso i meandri dell’inconscio e del livello terreno-materialistico”. L’autrice che ha “bruciato incensi d’amore all’equa ragione e alla (propria) razionalità”, “rinasce da se stessa ogni giorno” porgendo un dettato lirico costantemente pulsante, diversificato da percettibili peculiarità. Scioltezza, “calava il giorno sulla nicchia di prato ove giacevo trasparente ai tuoi occhi”. Ermetismo, “il tutto non si scorge in quel limbo, nel tuo altare, tutto appare, tutto dispare e nulla che dia senso a questo faro intermittente”. Levità, “carpiva il suo silenzio celato in armonie dell’universo dormendo inginocchiata accanto a lui, cuore a cuore”. Osservazione, “nobili si stagliano i versi della tua quotidianità come agili levrieri in cerca di verità”. Spiritualità, “da un canto ti leggo e da un canto ti spero, assomigliarti agogno se non nella gloria perlomeno nell’anima”. Raccoglimento, “è forse più gratificante temere che godere la luce?”. Un inno colto e lucente all’indivisibilità dell’essere, all’infinitezza che “nasce con la fine e finisce con l’inizio”. Un invito, per dirlo pensando alla sapienza di Lucio Piccolo, vate celebrato dalla Zuccaro assieme a Montale (“ora tuo malgrado vivi, computo il balzo che una volta temevi, ma non hai lasciato il bandolo della sicurezza”), Ungaretti (“ora lo sai che è nel tappeto in cui i colori si fondono che la solitudine si stempera in una dolce armonia di suoni”), Saba (“rimpiangi di tornare su quel, ormai famoso, nuvolo dorato”),  Dante (“gli ignavi li sputa anche l’Inferno”) e Mario Luzi (“nulla di ciò che accade è senza volto e nulla di ciò che percepisci puro è inganno), a rifugiarci nell’oscurità di noi stessi per ritrovare quanto di prezioso abbiamo smarrito. E riflettere, pertanto,  sull’impellente necessità di prendere (“Avere”) coscienza del mondo. In che modo? Verosimilmente, ascoltando con “cuore sincero” - senza riserve - per diventare eterni “testimoni d’Amore” anche quando, sotto oniriche tolde,  “la notte disarma dolcemente la vita”.
Grazia Calanna

POESIA a cura di Luigi Carotenuto su l'EstroVerso (www.lestroverso.it)

I fiori del male
di Charles Baudelaire - (traduzione di Giorgio Caproni)

ll pregevolissimo volume Marsilio, curato egregiamente da Luca Pietromarchi (esaustivo, appassionato e acuto sguardo critico), è un'occasione per annusare tutti gli odori sparsi nell'aria da I fiori del male, floridissimi ancora oggi, in una introvabile traduzione del poeta Giorgio Caproni (di cui ricorre quest'anno il centenario dalla nascita), geniale e sensibile traduttore di Charles Baudelaire. Dalla copertina spiccano severi gli occhi del poeta francese, l'altrove pare abbia trovato domicilio nelle sue pupille insieme alle cateratte del vizio. Rovistando le tenebre egli ha tratto alla luce un'umanità rinnovata, salvata da mano di artista pietoso e universale. Baudelaire ha giocato fino in fondo e sul serio la partita di uomo e intellettuale, allargando visioni cognitive e profondendosi in immagini estremamente vivide, toccanti, incastrate in forme di sonetto o in rima alternata, slanciandosi dalla tradizione fino “Au fond de l'Inconnu pour trouver du nouveau!”. Da visivo a visionario, la scrittura, eccelsa anche trasfusa sui poemi in prosa, gli aforismi o i commenti d'arte, mette a tu per tu il lettore, ipocrita o no che sia, così affondata com'è sulle bassezze umane, dunque attuale. Armandosi di sarcasmi e ironie per difendere il suo nudo cuore lacerato in una Parigi troppo indaffarata, indifferente al poeta albatros, manifesta aristocratico disprezzo dandy per la società borghese, e annota, profetico, nei Journaux intimes (trad. Marco Vignolo Gargini): “[…] periremo per ciò che noi abbiamo creduto di vivere. La meccanica ci avrà talmente americanizzato, il progresso avrà così bene atrofizzato in noi tutta la parte spirituale, che nulla tra le fantasticherie sanguinarie, sacrileghe, o antinaturali degli utopisti potrà essere comparato ai suoi risultati”.
Luigi Carotenuto


POESIA a cura di Luigi Carotenuto su l'EstroVerso (www.lestroverso.it)

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L' Italia è morta io sono l'Italia
di Aurelio Picca (Bompiani)

“Io, io sono pronto a combattere contro tutti / come se la guerra potesse medicare le ferite, / cancellare i peccati, / come se potesse decidere una volta per tutte / il destino di un popolo servo, / di un mondo che presto morirà”. E davvero contro tutti, se stesso compreso, si scaglia il furore lirico e civile di Aurelio Picca, nel suo poema roventissimo “L'Italia è morta, io sono l'Italia”. La prima persona utilizzata in questo epicedio nazionale è la prima persona di ciascun lettore, una chiamata alle armi della sensibilità e dell'ascolto reale, un drammatico appello per ritrovare la mancata empatia, risorgere davanti allo scempio di una nazione che è nostra madre, il nostro sangue, infine noi. Nel suo furore Picca mostra un amore viscerale per un Paese girato da cima a fondo, perlustrato nei suoi recessi e monumenti ancora colmi di bellezza e idea di riscatto, sfregiati sì ma non annientati, come evidenzia Luca Doninelli nel commovente saggio a fine poemetto. Un foscoliano invito a ricordarci dei morti (“le nostre Ombre ci chiederanno il saldo”), e portare i bambini in visita al disarmante Sacrario di Redipuglia, custode dei tantissimi italiani periti nella Grande Guerra. Tra il “caos di queste ore / che si sfregano alla rinfusa” l'autore, attraverso il ricordo della luce, la stessa che avvolse San Francesco e Chiara beatamente, ritempra lo spirito affranto, specchiandosi nei cieli italici d'ogni regione. “Io indosso una camicia bianca / e ben stirata tutti i giorni / come se stessi seduto in un caffè a Catania / accanto al Verga che piega la mano / sulle labbra rosse della Sicilia. E ardo nelle fiamme di Agrigento / come se le colonne del tempio della Concordia / fossero le donne della mia vita”. Un'esortazione fiammeggiante, un grido commosso e disperato, un canto per resuscitare i vivi e risarcire i defunti.
Luigi Carotenuto  

l'EstroVerso n. 1 2012 è on line su www.lestroverso.it

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