sabato 14 aprile 2012

POESIA di Luigi Carotenuto su www.lestroverso.it

POESIA di Luigi Carotenuto su www.lestroverso.it

Libro delle laudi di Patrizia Valduga (Einaudi)
Il Libro delle laudi è un canzoniere dolente che procede a distici, mano nella mano - invisibile - del compagno amatissimo Giovanni Raboni. La rievocazione e celebrazione, dopo Requiem, del defunto consorte, amante e secondo padre (“Amore padre”, scrive) attraversa l'intero libro anche quando l'autrice si confessa e sconfessa, come nella seconda sezione, quella dell'autoanalisi, dove, nel mezzo di toni enfatici, da recitazione sopra le righe, si distinguono sommesse voci dal sincero spaesamento esistenziale. Lo scavo psichico rende spazio a confessioni, seppure apparentemente si avverta un'impalcatura scenica (alla maniera di Giovanni Giudici per intenderci) teatrale, illuminanti. È la sezione migliore del libro, zeppa di colori, narrazioni, aspetti introspettivi legati alla memoria del cuore e dell'infanzia, scissioni dell'io e desideri segreti. L'andatura dei versi è franta, claudicante, i punti di sospensione ossessivamente presenti sono il balbettìo, la voce singhiozzante della Valduga amareggiata da una perdita insostituibile. L'ultima sezione si scaglia contro la carta stampata, l'invettiva ai giornalisti ha un nobile precedente  nella poesia satirica Capitolo sul giornalista (1813) di Ugo Foscolo, l'autrice denuncia il “vilipendio della letteratura” da parte degli addetti alla cultura del nostro Paese. Confessionale, teatrale, tragica, la Valduga continua il suo percorso lirico nel segno di un rigore metrico formale che, come ha scritto Stefano Giovanardi, fa “da argine nei confronti di una piena sensuale altrimenti incontrollabile”.

Yellow di Antonio Porta (Mondadori Lo Specchio)
Un tripudio dei sensi, esaltazione della vita. Ecco la poesia di Antonio Porta. Un vitalismo onnivoro che abbraccia ogni cosa in un amplesso costante e rigenerante. Anche la morte viene trascinata in questo trasporto vitale dal poeta (cfr. La felicità del ritorno). Dunque quanto mai felice la scelta di pubblicare postumo (nel 2002), grazie alla perizia della compagna Rosemary Liedl e l'acribia di una studiosa attenta come Niva Lorenzini (che ha curato il volume insieme a Fabrizio Lombardo, autore delle note), questo quaderno di appunti, progetti, annotazioni e versi sparsi, incompiuto a causa della morte precoce dell'autore. Lavori in corso di un poeta dalla “rara inquietudine” (come ricordava Anceschi citato nella preziosa postfazione) che ha lasciato un segno tangibile nella poesia del Novecento e, forse ancor più, in quella di inizio secolo. Vivace, vivida, violenta, la lingua di Porta, incide, agisce sul tangibile e l'onirico (costante la presenza della realtà psichica) sempre nei segni di un approccio legato al reale, all'oggetto e all'essere in atto. Dio stesso viene avvicinato, fraternizzato, rimpicciolito per amore “(dio con la minuscola / è amore non offesa)”, molto presente è l'ossessione del tempo, visto come privazione, ostacolo da eludere o cancellare (“Lei non sa nemmeno che cosa è il tempo. Lo cancella anche per me con i suoi atti e gesti di crescita”, scrive parlando della figlia), attraverso l'occhio bambino (e viene in mente la verginità di sguardo che Sanguineti attribuiva alla poesia). Una poesia per sua stessa natura ottimista, attiva, che si fa canto forte e sicuro (“ogni giorno può rinascere / e canta sulle pagine bianche”), o, in questi versi-testamento, che sfidano il dolore, la morte e il nulla: “la mia vita è stata felice / la mia infelicità totale, / venga, se ha coraggio”.

Morte de uma estacao di Antonia Pozzi
(scelta e traduzione di Ines Dias)
postfazione Matteo M. Vecchio
prefazione Jose' Carlos Soares

La poesia di Antonia Pozzi (della quale quest'anno ricorre il centenario dalla nascita), trova, grazie alla cura, lo studio e la passione di Ines Dias, diritto di cittadinanza portoghese. La traduzione è quanto più possibile fedele all'originale, grazie anche alla familiarità di una lingua che conosce bene la malinconia delle stagioni morenti. La Pozzi colpisce per la precoce maturità stilistica e la pronuncia ferma, la capacità di osservare il paesaggio nella chiarezza di sguardo (sguardo che le ha permesso notevoli risultati anche in fotografia, ci restano sue foto emblematiche come quella delle rondini sui tralicci), una poetessa lontana dai meccanismi editoriali, come ricorda nella documentatissima e particolarmente acuta postfazione, lo studioso Matteo Mario Vecchio, il cui suicidio avvenuto a soli 26 anni, offusca la portata autonoma dell'opera. Certo, in ogni autore la biografia dà linfa all'opera e viceversa, ma come i veri poeti la Pozzi sfugge a qualificazioni esclusivamente biografiche. Una voce perentoria e assolutizzante, unica per lirismo e precisione lessicale, efficacia visiva, che tratteggia stati d'animo in immagini aurorali dove la presenza della morte è mitigata da una densa concentrazione immaginifica. In Pensiero scrive: Avere due lunghe ali / d'ombra / e piegarle su questo tuo male; / essere ombra, pace / serale / intorno al tuo spento / sorriso.

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