venerdì 30 dicembre 2011

L'ombra della salute di Alberto Pellegatta (Mondadori Lo Specchio) - recensione di Luigi Carotenuto su www.lestroverso.it

Sembra farsi da parte l'uomo tra le righe dei versi di Alberto Pellegatta, dileguarsi, etimologicamente, come la salute. Questo “mistero sconcio, meraviglioso […] senza futuro”, è proprio l'oggetto di indagine del poeta. Da Tasso a Hölderlin, la poesia è stata spesse volte sul ciglio della propria ombra: malattia, follia, decadenza hanno attraversato intere esistenze e pagine. Pellegatta esalta l'oscurità del reale, le controversie vitali offrendo un quadro tumultuoso e icastico proprio grazie alla quasi totale assenza dell'io sulla scena. Mettendo in discussione qualunque io (“«Chi siamo? » chiede il quasiprete / quando piuttosto dovrebbe / domandarsi se per caso / siamo veramente”) dileggiando pose e luoghi comuni (“il poeta glamour / leggeva i nostri stessi giornali”), fissando in sentenze di verità incontestabile il nostro esser-ci disintegrato ( “Ma adesso, l'attimo presente, è la capitale del Tempo). Abbagliano i colori presenti nel libro, sgargianti, fantascientifici (la “glassa verde” ci fa venire in mente i quadri di Max Ernst)  o scuri, reietti, caravaggeschi (neri e macellerie sanguinolente riportano a Goya, Rembrandt, Bacon), visioni cosmogoniche, apocalittiche, “squassi e squagliamenti”, vaneggiare d'uomini che “Ricompilano la scienza / mentre la storia prende fuoco”; dunque, se “l'attualità è intermittente / come un'immagine rotta”, non resta forse che seguire la memoria dalle “stanze immense / camere colme di specchi”, o infilarsi dentro “un pacchetto di spazio sicuro e di presentimenti”. Resterà, di noi, “un sole in ogni foto. Moltiplicato, mobile / nel mobile, ritardato”.

domenica 27 novembre 2011

“QUANDO LA POESIA” di Mario Grasso con Grazia Calanna e Luigi Carotenuto

“QUANDO LA POESIA” di Mario Grasso

Martedì 6 dicembre, alle ore 17,30 nei locali della Biblioteca-Pinacoteca Provinciale, in Piazza Manganelli, a Catania, il prof. Mario Grasso (Direttore Editoriale Prova d’Autore, www.provadautore.it – Direttore  Lunarionuovo, www.lunarionuovo.it) interverrà sul tema  “QUANDO LA POESIA” svolgendo spunti di approssimazioni critiche sui recenti libri di Grazia Calanna, “Crono Silente”,  e Luigi Carotenuto, “Vi porto via”.  
Seguiranno letture e dibattito aperto al pubblico presente.
Ingresso libero.

sabato 29 ottobre 2011

L'Altro Fuoco di Antonio Spadaro (Jaca Book)

L'Altro Fuoco di Antonio Spadaro (Jaca Book)
L’esperienza della letteratura fiorita dalla parola fondatamente poetica, “biblico roveto ardente”, che, ritemprandolo, infiamma il lettore al quale instilla la propria “potenza espressiva”.  Parliamo dell’opera di Antonio Spadaro, “L’altro fuoco”, Jaca Book, che, nella prima parte, “Ritratti”, narra di nove scrittori, “tutti fortemente in tensione d’attesa”, accomunati dalla  “dimensione ardente”. Cesare Pavese, esige “di ancorarsi nell’essere, facendo un’intensa esperienza «contemplativa» di contatto”, mosso da un «urto impetuoso» s’incolla al mondo svelandone l’inarrivabile fantasioso del reale. Stig Dagerman, ha lo sguardo di un «bambino bruciato» che narra la vita  “opponendosi tanto ai fantasmi di un’ingiustizia cosmica, quanto alle pressioni dell’ingiustizia sociale”.  Rowan Williams, i suoi versi sono “come la pietra pasquale del sepolcro, che espira aria dai polmoni di marmo; una pietra che crepita nell’inesausta tensione che la sospinge via”. Oscar Wilde, arso dai livori del “diverso”, diventa “giocoliere di idee, prestigiatore del pensiero” aizzando una “sofisticata rivolta intellettuale”. Alda Merini, elegiaca, altalenante tra “abissi e vertigini”, tra “il «qui» della carne e l’«altrove» dello spirito”, tra “passione amorosa e tensione mistica,  pentimento e adorazione, tormento ed estasi”. Giorgio Bassani, singolare sospensione declina in una metrica «della tenerezza molto simile alla nostalgia» e «un’aria dolente, un moto di colloquio superstite, affranto». Bartolo Cattafi, pregiata voce del nostro ultimo Novecento, vive l’attesa come una forma di «rivelazione». La poesia, dichiara, è “più un fatto che un’idea”, sboccia “sotto il segno apparente dell’imprevisto”, è “nuda denuncia del mondo in cui si è uomini, cruento atto esistenziale”.  Mario Luzi,  si colloca «nella grande tradizione della poesia come pratica salvifica». Dolore e inquietudine hanno  segnato l’itinerario luziano che “si è fatto ascensionale fino alla tappa del viaggio terrestre che si fa celeste”. Gerard M. Hopkins, “mosso dalla certezza che in fondo alle cose vive una freschezza fiammeggiante, sorgiva, custodita dallo Spirito Santo che «cova» con caldo petto e luminose ali”. La seconda parte del volume, altrettanto nitidamente, scandaglia, sei singolari “Figure”: il viaggio,“desiderio di una «terra promessa» che rende il passo sicuro, ma inquieto”; la frontiera, “spazio mitico dove è possibile rinascere immergendosi in uno stato di innocenza quasi adamitica”; la lotta, “immagine della drammaticità della vita e dei suoi conflitti”; il germoglio, capitolo dedicato alla poesia cinese che ha “il vantaggio unico di combinare il suono della parola alla sua immagine”; le cose, “il significato della nostra esistenza si gioca anche nel modo in cui viviamo con gli oggetti”; il logos, “l’accostarsi alla figura di Gesù per conformarsi ad essa, entrare in dialogo o scontrarsi con essa implica necessariamente il «cogliere il vero fondamento della [sua] storia», il suo significato, il suo logos”.   
GRAZIA CALANNA


martedì 18 ottobre 2011

1921

1921

Serviranno a ben poco epicedi o epitaffi in onore di Andrea Zanzotto.
La sua opera lascia punti di sospensione.
E due punti, direbbe la Szymborska.
Un fuoco permanente la poesia, roveto ardente, ardimentoso dire ripagato dall'indifferenza, perché
il poeta è trattato come un morto in vita, al massimo celebrato istituzionalmente,
così da congelare la sua corrosività sociale nella museificazione accademica di premi e
riconoscimenti”. Ma cosa può riconoscere una società ignara di se stessa in un poeta?
Chi è senza desiderio come può farsi allievo?
Cosa può apprendere il secolo del prendere?
Di che può preoccuparsi chi sa soltanto occuparsi?

Al mondo per le sue presenti mete,
non serve il senno, basterà la rete.”

Con un lievissimo cachinno, così mi risponde Zanzotto.
Si può dargli torto?

di Luigi Carotenuto (www.lestroverso.it)

venerdì 23 settembre 2011

Lo scrittore Claudio Bagnasco ospite a Penne Estroverse


Lo scrittore Claudio Bagnasco ospite a “Penne Estroverse”

Incontro culturale sabato 01/10 alla Biblioteca Comunale di Zafferana Etnea

“A Carla piace, quando ha tempo, stendere i principali quotidiani nazionali sul letto e leggere in ognuno la medesima notizia, per scoprire in quanti modi diversi ma in fondo identici si possa essere lontani dalla verità…”. 
Un estratto  dal racconto "E adesso?" parte integrante del libro “In un corpo solo” di Claudio Bagnasco (Quarup edizioni) che per il ciclo di appuntamenti culturali  Penne EstroVerse,  colloquiando con gli autori...” sabato 01 ottobre, ore 18.30,  sarà accolto dalla Biblioteca Comunale (Palazzina Liberty Parco Comunale) di Zafferana Etnea (CT).
L’evento promosso dall’associazione culturale EStrolab, con il patrocinio dell’assessorato alla cultura del Comune di Zafferana Etnea, sarà moderato dalla giornalista Grazia Calanna. Relatrice la dott.ssa M. Gabriella Puglisi  (Dottore di Ricerca in Pedagogia – Università degli Studi di Catania). Letture a cura dell’attore Eugenio Patanè. Momenti musicali con il chitarrista Dario Matteo Gargano. Ingresso libero.



Claudio BAGNASCO - Nato a Genova nel 1975, Claudio Bagnasco ha precocemente deformato la sua lingua studiando l'opera di Cesare Viviani, alla cui poesia ha infine dedicato la tesi di laurea. Debutta con Luciana nel 2007, e mostra una nuova maturità scrittoria in Silvia che seppellisce i morti nel 2010. In un corpo solo è la sua prima raccolta di racconti e racchiude narrazioni brevi scritte tra il gennaio 2005 e il luglio 2006


Ufficio Stampa ESTROLAB

giovedì 15 settembre 2011

CORSI DI FORMAZIONE IN COMUNICAZIONE (PUBLIC SPEAKING - SCRITTURA PROFESSIONALE E CREATIVA)

Formazione e training professionale in Comunicazione

Sono aperte le iscrizioni per i CORSI di FORMAZIONI in:


 - PUBLIC SPEAKING, Comunicazione efficace interpersonale e in pubblico
Docente: Elisa Toscano (Consulente e Formatore in Relazioni Pubbliche e Marketing)


 - SCRITTURA PROFESSIONALE E CREATIVA, comunicazione e tipologie testuali 
 Docente: Grazia Calanna (Formatore in Scrittura e Comunicazione Didattica, Direttore Responsabile peridoico culturale l’EstroVerso)


INFORMAZIONI: info@parlareinpubblico.it - tel. 095/8363299 - www.parlareinpubblico.it




lunedì 8 agosto 2011

Luigi Carotenuto “La poesia è politica nel senso originario”

di Grazia Calanna
(La Sicilia Cultura del 7 agosto 2011)


A tre anni dall’uscita del libro “L’amico di famiglia”, raccolta poetica, prefata dal critico letterario Anna Vasta, distinta dal proposito di mettere alla berlina i costumi sociali, le prassi sentimentali, canzonando degradanti luoghi comuni, il poeta catanese Luigi Carotenuto, con Prova d’Autore, conferma le proprie peculiarità liriche con il secondo lavoro intitolato “Vi porto via”.  Persistenti e incisive immagini mentali costellano la volta poetica dell’universo del Carotenuto, che riesce a piegare la parola al suo fulgente pensiero, focalizzando i nodi esistenziali dell’uomo”, si legge nell’introduzione del prof. Gaetano Vincenzo Vicari. Versatile, melanconico, ilare, istintivo, pragmatico, beffardo, sognatore, mordace, fiducioso. È, al di là degli “steccati”, l’esteso richiamo poetico di Carotenuto. “Leggendo le sue liriche capiamo - dichiara il curatore letterario Mario Grasso -,  che ci troviamo di fronte ad un poeta che si contraddistingue per la capacità di donare momenti salvifici, intrisi di satira, con tangibile disinvoltura e semplicità. Un conto infatti è l’autenticità, un conto sono sofisticazione e artigianato. La poesia è vita, deve esprimere con sincerità il proprio mondo interiore. Carotenuto interpreta l’animus degli altri e lo fa con grazia, con lealtà, con leggerezza”.  Il vate, sebbene cosciente dell’altrui preferenze, “mi vorrebbero muto come un sasso”, diviene testimone di un’epoca dubbia. Versi “arcobalenanti”, come sfumature di un “lungoprato fiorito fiorente”, germogliano, ora dal sogno, ora dal realismo, “nel gioco delle parti si risolve la giornata”. Parole precettrici incedono, incidono l’animo come fossero sberle officinali ansiose di vivificare uomini-fantocci, “in vetrina”. Viandanti, “senza lascito memoriale”, strappati ai fasti dello stupore. Eroi romantici senza “cavalli da domare / duelli per amore / … / un io da difendere / un tu da salvare”, interpreti spenti di un mondo menzognero, “virtuale”, traboccante di solitudine reale.  Parole indocili addosso al becero conformismo dell’apparenza. Parole di un amore nitido, assoluto, per un “girotondo” infinito di bimbi bisognosi d’ascolto, e di un sorriso leale.  
“Un tempo si credeva che lo zucchero si estraesse solo dalla canna da zucchero, ora se ne estrae quasi da ogni cosa; lo stesso per la poesia, estraiamola da dove vogliamo, perché è dappertutto”. Una premessa con Gustave Flaubert per chiederle: cos’è la poesia?
La poesia è memoria della vita offesa, come aveva detto Adorno a proposito dell’arte, e in tal senso fa ed è storia. È politica senza mai politicizzarsi, è l'unico atteggiamento “politico” nel senso originario e più alto. La poesia, ancora, è sogno incarnato, trasposizione di emozioni cristallizzate. Nasce e muore con l'uomo, resterà sempre attuale anche se deprezzata come, particolarmente è, in questo momento storico. L'attuale poesia, a parte le dovute eccezioni sempre più rare, è più un atteggiamento, una posa, un costume rozzo e ignorante che fa passare la prosa più becera e mediocre per aulico versificare. Il quotidiano inutile viene declamato a voce muta e uno pseudo ermetismo dietro il nume protettore dell'oscurità del poetare nasconde incompetenza, mancanza di idee e sentimento; non ultimo e forse il più dilettantistico e diffuso degli atteggiamenti è quello del sentimentalismo vuoto, banale, privo di senso di realtà e incantamento rivelatore (doti della vera poesia a mio parere), dove tramonti, gabbiani, solitudini, amori e gioie sono combinati insieme alla maniera della catena di montaggio e, delittuosamente, le parole vengono costrette a un “senso” unico, privo di qualunque traccia permanente”. 
Qual è il poeta italiano contemporaneo cui fa riferimento?
“Apprezzo molto Andrea Zanzotto, innovatore e sperimentatore del linguaggio poetico che sa mantenere nei propri versi il lirismo alto della poesia classica”.
Quando è nata la sua passione per scrittura e letteratura?
“Alle scuole elementari. Ricordo una lezione di storia, si parlava della guerra civile spagnola e alcuni miei compagni ironizzarono sul quadro di Picasso Guernica, definendo sgorbi quei pezzi di uomini e animali smembrati; la maestra  si alzò e cominciò, con grande pathos ai miei occhi di bambino, a descrivere gli orrori della guerra, le vittime e la tragedia del morire, finì il suo discorso in lacrime. Forse, almeno inconsciamente, da lì è partito il seme di un senso critico ed estetico, l’idea che l’arte, e quindi anche la letteratura, fosse  una cosa seria e soprattutto avesse realmente a che fare con la vita”.  
Un pensiero di Virginia Woolf, “è proprio vero che la poesia è deliziosa, infatti la prosa migliore è piena di poesia”, per chiedere, se le piacerebbe dedicarsi alla prosa poetica.
“La prosa poetica, programma ambizioso... ma la scrittura non può programmarsi più di tanto se si ha intenzione di scrivere con una certa onestà, di sicuro idealmente vorrei che la mia prosa contenesse lirismo, anzi, senza l'elemento lirico non immagino nemmeno un buon romanzo; mi piace poco questo proliferare di autori noir e giallisti, scorgo in questa passione per tali letture, tutta la miseria del genere umano, il lato voyeuristico legato al pettegolezzo e al gossip, frugare senza rispetto nelle vite (e soprattutto nelle morti) degli altri. E perché non si pensa a questa morte in vita dell'uomo? Mi appare molto più interessante indagare sul senso del nostro tempo, sul senso dell'uomo, invece che raccogliere una serie di eventi, sbattere “mostri” in prima pagina. La tragedia non è nella cronaca, ma nei motivi ontologici che spingono l'essere umano a questo tipo di cronaca, e questa serie di scrittori sono responsabili del degrado intellettuale perché non forniscono e, molte volte non hanno, elementi concettuali sui quali far meditare i lettori”.
GRAZIA CALANNA

martedì 21 giugno 2011

Cattafi, maestro e indimenticabile compagno

L’intervista di Luigi Carotenuto
Cattafi, maestro e indimenticabile compagno
L’intimo racconto della moglie Ada

Bartolo Cattafi (Barcellona Pozzo di Gotto, 6 luglio 1922 – Milano, 13 Marzo 1979) è stato uno dei poeti più originali e appartati della seconda metà del novecento italiano, numerose le sue raccolte di liriche, quasi tutte per le edizioni Lo Specchio Mondadori tra cui ricordiamo: Nel centro della mano (1951), libro d’esordio, Le mosche del meriggio (1958), L’osso, l’anima (1964), La discesa al trono (1975), Marzo e le sue Idi (1977), L’allodola ottobrina (1979) e le postume Chiromanzia d’inverno (1983) e Segni (1986, edizioni Scheiwiller). Da segnalare inoltre, tra i vari interventi apparsi su riviste specialistiche e libri, il doppio n. 6/7 di Lunarionuovo, rassegna di letteratura diretta dal poeta Mario Grasso, interamente dedicato a Cattafi, con i contributi critici oltre che del letterato acese, di Sciascia, Spagnoletti, Giudici, Betocchi, Addamo, Sereni, Raboni, Bo, Cucchi e altri. Abbiamo avuto il piacere di intervistare la moglie, Ada De Alessandri Cattafi.
Il vostro incontro. L’innamoramento. Le va di raccontarci come vi siete conosciuti e alcune delle cose che avevate in comune?
“Incontrai Bartolo nel 1966 mentre lavoravo alla «Grandi Viaggi» di Milano. Veniva spesso in direzione a trovare i proprietari, Ermanno Amori e il figlio Silvio, suo caro amico e compagno di avventure. Nel dicembre dello stesso anno lo rividi a Londra, dove nel frattempo mi ero trasferita per motivi di lavoro. Bartolo mi chiese di fargli da guida e interprete per una giornata, alla fine della quale ci lasciammo, ripromettendoci di risentirci al mio rientro a Milano per le vacanze natalizie. Conservo ancora il suo telegramma: «Ti ricordo, ti penso, ti aspetto.» Il 26 giugno 1967 ci sposavamo in Scozia, ospiti del suo amico e traduttore George Kay. Bartolo era sulla quarantina. Aveva da poco consolidato la sua situazione economica grazie all’esproprio per pubblica utilità di un suo fondo agricolo. Dal punto di vista sentimentale era reduce da una complicata vicenda amorosa. Io avevo ventidue anni, un lavoro promettente e una vita ricca di interessi e relazioni nella swinging London degli anni ’60. Di certo scattò quella miscela di attrazione fisica e psichica che chiamiamo innamoramento, ma credo sia accaduto qualcosa di più profondo, che suscita ancora oggi la mia commozione. E’ stato come un “riconoscersi”. Credo appartenessimo entrambi a quella razza bisognosa di auguri, di cui Cattafi parla nella poesia autobiografica intitolata Cancro (L’aria secca del fuoco). Entrambi alla ricerca di autenticità, trasparenza, gratuità”.
Com’era in veste di padre e di marito?
“L’esperienza della paternità ha suscitato in lui sentimenti profondi e complessi. Alla gioia della mia inattesa gravidanza – Elisabetta è nata nel 1975, dopo otto anni di matrimonio – faceva da tragico contrappunto il pensiero dell’avvicinarsi della morte che Bartolo da tempo avvertiva in sé. Lo testimoniano le struggenti poesie dedicate alla piccola nella plaquette scheiwilleriana 18 Dediche, che hanno il sapore di un addio. Per quanto mi riguarda, vivere accanto a un personaggio come Bartolo è stato di certo impegnativo. Era esigente con se stesso e con gli altri. Ma io ero sinceramente innamorata e, con il trascorrere degli anni, sempre più consapevole della sua ricca personalità di uomo e di artista. Sono molti gli amici che possono testimoniare la sua calda umanità e la stabilità dei suoi affetti. Nel ménage quotidiano temperava con ironia la sua visione tragica della vita. La sua più vasta cultura ed esperienza non ci hanno impedito di vivere quella solidarietà e complicità alle quali ho accennato. Gli sono grata per il rispetto e la delicatezza con i quali ha accompagnato i tempi della mia crescita. E’ stato per me un maestro, oltre che un indimenticabile compagno”.
Partecipava alla stesura dei testi poetici di suo marito in qualità di suggeritrice, complice o Bartolo Cattafi scriveva in stato di solitudine inalterabile?
“Come il Paguro dell’omonima poesia de L’allodola ottobrina, Cattafi, protese le sue parti più porose / nella torbida broda circostante, assorbiva e metabolizzava sensazioni provenienti da una attenta, quasi maniacale osservazione della realtà. Scriveva dappertutto, in casa, per strada, sui mezzi pubblici, si alzava anche di notte per fissare i suoi pensieri. In questa fase ogni frammento del reale, ogni incontro, ogni lettura, ogni evento, poteva divenire fonte di ispirazione. La fase successiva, quella della elaborazione formale, avveniva in solitudine, nel suo studio. Io mi ero offerta di copiare a macchina i testi definitivi da lui manoscritti e, durante questa operazione, gli  chiedevo spiegazioni e approfondimenti o segnalavo qualche mia perplessità. Le copie dattiloscritte venivano infine sottoposte al giudizio degli amici Scheiwiller, Sereni e Forti. A cominciare da L’aria secca del fuoco, Raboni, che aveva conosciuto Bartolo in occasione dell’uscita de L’osso, l’anima, lo aiutò a strutturare le raccolte mondadoriane e ne redasse tutti i risvolti di copertina. Fu a lui che Cattafi affidò i testi di Segni e di Chiromanzia d’inverno, dei quali Raboni curò la pubblicazione postuma”.
Le descrizioni di campi, fiori e mondo agreste sono spesso presenti nell’opera di Cattafi. Qual era il rapporto del poeta con la natura?
Credo fosse un rapporto simbiotico, di compenetrazione. Ma lascio volentieri la parola all’amica Silvia Fleires, autrice di un illuminante saggio sull’argomento, intitolato Simbologia arborea e dendromorfismo nella poesia di Bartolo Cattafi. Dopo aver citato la poesia Ragioni de L’allodola ottobrina, la studiosa conclude scrivendo: «La circolarità biologica tra umano e vegetale non è chiusura al tempo e alla storia, rappresenta piuttosto, aliena da qualsiasi funzione consolatoria, un momento rigenerativo e preparatorio, che permette a Cattafi di affrontare lo schianto, il turbine del mondo.»”.
Lei ha scritto il libro La spiritualità di Bartolo Cattafi, può raccontarci il rapporto che lo stesso aveva con la fede, quali le letture più in sintonia col suo spirito?
“Non poteva essere che una lotta con l’angelo, un rapporto segnato dalla complessità e contraddittorietà della vita, che si è andato chiarendo nel tempo. Il Dio di Cattafi - senza dubbio il Dio trinitario cristiano -, ingenuamente esibito nella fase giovanile, verrà progressivamente minuscolizzato, riapparendo all’improvviso, talvolta in incognito, con un andamento carsico fino alle ultime poesie, quando rivendicherà il suo ruolo di interlocutore fondamentale del poeta. Le citazioni bibliche, tratte in prevalenza dai profeti e dai vangeli, sono ripresentate con un linguaggio originale, incarnato nel vissuto e nel contesto culturale dell’autore. Cattafi era molto devoto a Maria, alla quale ha dedicato alcune poesie in occasione di un pellegrinaggio a Lourdes, fatto per adempiere un voto. La poesia François, che si ispira - con la consueta punta di ironia- alla figura di un generale dei Brancardiers, mi pare emblematica delle fede che Cattafi ebbe il rammarico di non avere vissuto in modo più coerente e lineare: T’invidio Ossa Dure / celta dal duro occhio celeste / cadi di schianto in ginocchio / sul gradino più basso / (col tuo peso lo incrini) / vero spirito e vero corpo / greve e leggero davanti alla Signora / le braccia allargate / le palme verso l’alto / eri di quelli che salivano d’un balzo / gradini e montagne / che i Mori li facevano a pezzettini. (Poesie 1943-1979). Tra i testi presenti nella biblioteca del poeta vi sono diverse edizioni della Bibbia, i Vangeli apocrifi, il Corano, i detti di Buddha e di Confucio, poemi cosmogonici e teogonici di varie religioni e, tra gli altri, Agostino, Pascal, Kierkegaard, Bernanos, Eliot, Lisi, Betocchi, Rebora e Luzi”.



www.lestroverso.it n.3 / 2011

lunedì 20 giugno 2011

LA VOLTA POETICA DELL’UNIVERSO DI LUIGI CAROTENUTO Un testimone di un’epoca dubbia

LA VOLTA POETICA DELL’UNIVERSO DI LUIGI CAROTENUTO
Un testimone di un’epoca dubbia

Camaleontico, saldo, spontaneo, realista, beffardo, sognatore, provocatorio, fiducioso. È, al di là degli “steccati”, l’esteso richiamo poetico di Luigi Carotenuto, voce singolare per  sapienza introspettiva e letteraria. Un giovane autore, sebbene cosciente dell’altrui preferenze, “mi vorrebbero muto come un sasso”, diviene testimone di un’epoca dubbia. Versi arcobalenanti, come sfumature di un “lungoprato fiorito fiorente”, sbocciano, ora dal desiderio, “non si lasci espugnare la vita”, ora dal disincanto, “nel gioco delle parti si risolve la giornata”. Roghi intimisti, “m’infransi contro gli scogli / della terra e piansi”, rischiarano, riscaldano, uno sguardo, proteso sul “perenne protervo protetto carnevale”, derisorio, “insepolcrato il pensiero / i vivi celebrano i morti”, caustico, “avidi / poteste lucrare nell’aere / se solo aveste / l’immunità celeste”, speranzoso, “i bambini non scendono a patti col mondo / hanno tasche colme di rivoluzioni colorate”, prova tangibile dell’urgenza della poesia, balsamo sostanziale per  “anime senza posa”. Parole pedagoghe incedono, incidono l’animo come fossero sberle officinali desiderose di vivificare uomini-fantocci, “in vetrina”. Viandanti “senza lascito memoriale”, “accademici rivoluzionari / alchimisti del nulla / malinconici pre festino”, vite avulse allo stupore. Parole indocili addosso al becero perbenismo dell’apparenza, all’illusione di un cosmo finito “a portata di dito”. Parole di un amore nitido, incondizionato, per un “girotondo” infinito di bimbi ai quali dedica il proprio salvifico “Vi porto via”.  Un testo, edito da Prova d’Autore, prefato da Gaetano Vincenzo Vicari che sottolinea: “Persistenti e incisive immagini mentali costellano la volta poetica dell’universo del Carotenuto, che riesce a piegare la parola al suo fulgente pensiero, focalizzando i nodi esistenziali dell’uomo. Il poeta ha la forza mentale e il rigore intellettuale per adagiare, con una saggia padronanza dei mezzi linguistici, la parola poetica nello scrigno stagionato della conoscenza”.
GRAZIA CALANNA


(La Sicilia Cultura 19.06.2011)

Gocce di notti silenziose

Gocce di notti silenziose di Aurora Romeo



Intinge “la penna nel rosso del furore, dentro magma ribollente”. Nostalgica, come il presente che “trafigge la vaporea figura d’una vita trasparente”. Incandescente come fiamma “che arde e si consuma lenta”. Tenace, come “l’edera” che “vigorosa e trionfante” si abbarbica alle pareti dell’intenzionale isolamento, in prospera solitudine. Una “voce senza eco” che si tramuta in “divina favilla, Poesia, sete d’immenso”. Un richiamo in “soffi” d’essenza “ridestata”,  quello di Aurora Romeo, giovane autrice di “Gocce di notti silenziose”, silloge edita da “Prova d’Autore”. La poetessa interroga la notte affinché con “voce bianca” e risonante possa svelare segreti beffardi, propri di un “passato immutabile”, custoditi dal vento. Reminiscenze dalle “pallide gote”, basta sfiorarle affinché  l’atmosfera si addolcisca. Il crepuscolo inoltrato, pacatamente, diviene “rifugio di intimi rapimenti”, irrinunciabile “culla stellata di pace e di umani sogni”. Versi coesi che narrano di un mondo sovrastato da una “coperta di cielo” che “col suo bacio freddo” cinge senza mai scaldare. Di un campo che ha rigettato l’inerme aratro, “sconfitto, piegato dalla colpa di un libero arbitrio infame”. Di un grido raccolto, “lo spezzan le pietre”. Di un canto “muto”, intento a ricamare nel vuoto  “vane corolle… petali amari dal polline mendace”.
GRAZIA CALANNA



giovedì 16 giugno 2011

M'ama non m'ama

M'ama non m'ama
Quale stupido modo di sciupare un fiore
 m'ama non m'ama per decidere il tuo amore
 e intanto ho raso al suolo la vegetazione
 cercando un petalo che approvasse
 questo maledetto amore.
                                                    (ANTEPRIMA da Vi porto via, edizioni Prova d'Autore giugno 2011)
 

lunedì 13 giugno 2011

Vi porto via di Luigi Carotenuto

Vi porto via di Luigi Carotenuto

Scheda Libro
Vi Porto via di Luigi Carotenuto
Edizioni Prova d’Autore
pp. 104
prefazione di Gaetano V. Vicari
Genere: poesia
Anno: 2011 (giugno)

Dalla prefazione a cura del prof. Gaetano Vincenzo Vicari
La poesia di Luigi Carotenuto è pervasa dalla malinconia e dal dolore che proviene dagli spazi più belli e, nello stesso tempo, più tristi dell’anima. Una consapevole scelta lessicale del campo poetico, una lucida compatibilità collocazionale dei lemmi, una rigorosa occorrenza posizionale dei termini impreziosiscono l’impalcatura versificativa dell’ampio edificio del ricordo. Persistenti e incisive immagini mentali costellano la volta poetica dell’universo  del Carotenuto, che riesce a piegare la parola al suo fulgente pensiero, focalizzando i nodi esistenziali dell’uomo, placcati di gioie e di effimere speranze. Il poeta ha la forza mentale e il rigore intellettuale per adagiare, con una saggia padronanza dei mezzi linguistici, la parola poetica nello scrigno stagionato della conoscenza. (…)
Un modello di sensibilità poetica (…). La sua poesia è uno studio dell’esistenza dell’uomo, un viaggio nei comportamenti vitali. Il poeta nella pienezza conoscitiva rileva che Qualcosa mancava per stare bene.

Dormire ho dormito / mangiare ho mangiato / lavorare ho lavorato / Vivere?/ l’ho dimenticato //  (Qualcosa mancava)

Riferimenti baudelairiani (Alla passante di Baudelaire), chiasmi (La gravità del peso o il peso della gravità), metafore e altre figure retoriche ancora puntellano l’impalcatura poetica del Carotenuto, che affetta con sagacia la realtà liricizzata… .

Biografia dell’autore
Luigi Carotenuto, nato a Giarre, dove vive, nel 1981. Lavora nell’ambito socio-pedagogico. Collabora con il periodico culturale l’EstroVerso (www.lestroverso.it) e con la rivista CriticaMente - Filosofia e Teoria delle Scienze Umane - a cura di Federico Sollazzo. Ha vinto la V edizione del concorso letterario Alimena sotto le stelle della letteratura, con la poesia Uscita senza acquisti. Nel novembre 2008 ha pubblicato l’opera prima L’amico di famiglia (ed. Prova d’Autore). Ha partecipato, in qualità di protagonista, al cortometraggio Kosme (2010) scritto e diretto da Vladimir Di Prima. Dopo L’amico di famiglia (ed. Prova d’Autore), Vi porto via è la sua seconda raccolta di liriche. luigicarotenuto@live.it


mercoledì 1 giugno 2011

Grazia Calanna L'Azzurro del Bene

Grazia Calanna L'Azzurro del Bene

Per ogni nuovo poeta che scopriamo si accende una luce che prima non c’era. Diciamo una luce per dire che qualcosa di magico si aggiunge alla capacità di capire probabili frammenti della vita e del suo mistero. Perché mistero è la vita e non solo per la imprevedibilità che in essa si annida, quanto per gli stimoli che ogni presenza di vita provoca intorno a sé, stimoli per reazioni che si manifestano per innestarne altre, e all’infinito. Grazia Calanna ha esordito da poeta dando alla silloge un titolo allusivo verso due miti della vita umana, il tempo e il silenzio.
(Crono silente – pagg. 80 - € 10,00 – Prova d’autore). È importante leggere quanto ha scritto nella sua impetuosa prefazione Savina Dolores Massa, una rapida sintesi che tanto contiene e più dimostra. Onestà di lettore vuole che si riconosca nella centrata definitorietà dell’intervento della prefatrice il grumo centrale di quanto Grazia Calanna ha distillato, con disinibita franchezza, quasi a proporre un canto ossimoro rispetto alla promessa (pur pienamente onorata) del titolo. Il fatto è – potrebbe essere avanzato – che il silenzio caratterizza chi ha riserve di cose da dire sulla umana condizione, e per dirle non ricorre al filtro dell’ambiguità ma al machete-maglio della propria verità, quasi a farne omaggio a quella inconfutabile regola che identifica la letteratura nella vita e non certo per la contingenza di ripararsi sotto un libro-manifesto del secondo decennio del secolo scorso: “Letteratura come vita” di Carlo Bo (1929). E dire che, quella volta, si era già appena alla soglia della stagione ermetica. Una stagione che fu amata dalla poesia e che resiste nella sua formula di calcolate reticenze, forse in omaggio a una delle pretese della lirica che privilegia i luoghi dell’inespresso, che rifugge i momenti del didascalico e del parenetico, per esorcizzare il pericolo del moralismo. Eppure proprio questa ultima considerazione potrebbe celare un limite assurdo al momento di poter essere adattata alla poesia. Perché la poesia è anzitutto la ricerca e l’affermazione del vero. Forse perché il vero è la parte nobile e destinata a sopravvivere, forse perché la verità è amata e cercata da tutti (come la poesia, appunto) anche se, ironia della sua sorte, la verità offende. Proprio così. Ma Grazia Calanna non propone offesa alcuna quando ci ricorda con i versi iniziali di “Briciole”, che “C’è chi concede briciole / avaro / C’è chi si sbriciola / altruista / C’è chi finirà in briciole / avido / C’è chi di briciole risorgerà /azzurro”. Il colore azzurro è qui significativo e può invitare a curiosare nella tavolozza dei colori che si succedono in “Crono silente” spesso accompagnati da riferimenti termici che complementano di allusività palesi le proposte della poetessa. Infatti i colori in Crono silente sono tanti, e il loro non è un ricorrere né un ricorrersi, se ne coglierà pieno il significato valutandone il pendant con le temperature, che tendono ai valori alti. Lasciamo ai lettori il piacere di scoprire la scala delle temperature, in Crono silente e segnaliamo quella dei solfori. Ed ecco come, tra grigi pag.19 e 42; pece, pag. 20 e nera pag.45, si giunge al plumbeo (pagg. 38 e 49) e dall’ebano i pag. 27 al cinerino della successiva al bianco della 29. In controtendenza con il vermiglio di pag. 18 che si coniuga al porpora (pag.37) e ancora allo scarlatto (pag. 56), isolando il rubino di pag. 40. L’azzurro e il celeste (pag. 44 e pag.56) negano il bianco e relegano il “buio” nel suo ricorrere tra le pagg. 22, 34, 37…. Lasciamo fuori, anche stavolta al piacere dei lettori, le centrate figuralità simboliche ma solo altro tra i segni rivelatori, che confermano la lealtà della scrittura creativa di Grazia Calanna, forte di tensione interiore autentica quanto “silente”, proprio in arrendevole intelligenza con le esigenze inesorabili del Tempo-Crono. Non resterebbe che il tentativo di entrare nel merito della forma. Banco di collaudo per la letteratura in genere, per la poesia in particolare. Ed è su questo fronte che si è chiamati alla responsabilità di definire quanto possa essere destinato a separare i momenti della cronaca da quelli della letteratura come vita. Un momento che si affida all’evidenza proprio nel caso di questo esordio di Grazia Calanna, che ha scelto di raccontare i momenti dell’inesprimibile subliminale ricorrendo alla formula di un diario in pubblico, tra le cui pagine non si svolge il canto di quanto raccolto o ripudiato, visto o ascoltato, ma il fedele diagramma di un’anima che reagisce, il tracciato di un percorso di sensibilità offesa, che ha disegnato i confini oltre i quali c’è l’azzurro del bene, più come ipotesi e speranza che come tesi ed esperienza. Un mondo nel quale non c’è molto da scegliere oltre “Conforme conformante conformismo / Catene impermeabili / schivano  il temporale perenne di un tempo / asservito all’antropica silente stoltezza”. Ecco l’imporsi della propria verità a dar nome e immagine all’inesprimibile, che tale finirebbe di essere se tautologicamente si ponesse fine, per sempre, all’ipocrisia e al pecorume del “come l’una fa le altre fanno”. Infinite sono le vie per dire il vero, Grazia Calanna ha scelto quella più semplice, quella di un tipo di spontaneità che fu tanto cara a Umberto Saba, il poeta che ci ha lasciato per insegnamento che “La notte vede più del giorno”, una lezione che Calanna porta in sé con  fiera consapevolezza e umile approccio, anche per non urtare più di quel tanto il “conforme conformante conformismo”, nel quale chi più chi meno, tutti continuiamo a vivere immersi, anche nei momenti in cui ci ergiamo a giudici degli altri, trascurando di giudicare, anzitutto. noi stessi.


(Mario Grasso)
http://www.lunarionuovo.it/?q=node/407  - Lunarionuovo - n. 43/53 nuova serie - Giugno 2011 -

giovedì 26 maggio 2011

CRONO SILENTE
Calanna una poesia senza carillon
Basterà ricordare un particolare del pensiero di Pitagora per orientarci nel castello di luci che Grazia Calanna ha disposto lungo le coinvolgenti pagine del suo primo libro di poesia "Crono silente" (ed. Prova d’Autore). Pitagora affermava che il mondo in cui viviamo è pervaso da una misteriosa armonia che noi non cogliamo perché vi siamo immersi fin dalla nascita e vi abbiamo fatto talmente abitudine da non essere più capaci di percepirne la caratterizzazione. Ebbene? Dopo aver letto le sessantatrè liriche di Crono silente, ne abbiamo acquisito una nostra chiave di interpretazione pensando alla proposta pitagorica, quella dello scorrere del tempo, acqua cheta che rovina i ponti, e quella dell’incessante duolo della vita, insito nella natura di ogni essere umano e quindi, a suo modo, "armonia" anche se amara e non dispensatrice di gioie e delizie: "Mondo ostile / traverso le tue lande desolate / ti ritrovo / lungo un tortuoso cammino / ripiegato su te stesso / orfano di verbi / (…) miscugli di cenere e lacrime amare / voglio dipingere quello che sento". Cenere e lacrime amare, dunque, potrebbe essere la costante della "armonia". Grazia non ha dubbi, infatti ci confida: "voglio dipingere quello che sento" perché è questa l’armonia del mondo, quella che tutti ascoltiamo fin dalla nascita e che non smette di seguirci lungo il tortuoso evolversi di questa vita nella quale ogni essere umano è delegato a portare dentro se stesso una propria croce. Una poesia, questa di Grazia Calanna, che cela, sotto l’accattivante accessibilità la via maestra del comunicare a ogni lettore, con l’ umiltà propria di chi non ha bisogno di belletti per presentare tutte le sfumature sull’impervio di ogni condizione esistenziale. "Senza carillon" ha scritto Savina Dolores Massa nella prefazione condivisa dalla magistrale nota di Mario Grasso in bandella. È, infine, la scrittura di Calanna, un coerente esempio di stile poetico, riconoscibile ad apertura di pagina per l’asciuttezza definitoria del verso, rigorosamente scevro da fumose esibizioni retoriche.
Stefania Calabrò

(La Sicilia – Cultura 25 maggio 2011)

mercoledì 25 maggio 2011

“L’Amico di famiglia”
di Luigi Carotenuto
Edizioni Prova d’Autore


Note trafugate alla vita con il coraggio di un equilibrista che, sagacemente, incede sull’impalpabile filamento del tempo. Intime corrispondenze, liriche le quali, a ridosso dell’apparente agevolezza, nascondono un’emotività peculiare che,  paradossalmente, può essere compresa protendendosi al di là della singola parola. “Piove a dirotto sulla via di casa”, il senso di smarrimento si attorciglia alla percezione di inadeguatezza, impossibile “aderire a questa realtà”, in nessun modo, “nemmeno con la colla”, e lo spasimo, al quale stoltamente “sbarriamo le porte come se la luce servisse a nascondere la notte”, spadroneggia “nell’identico modo di sempre”. Il pensiero dell’autore diviene lo specchio nel quale riflettendosi, come per prodigio, è possibile riverberare. “L’Amico di famiglia” di Luigi Carotenuto, edito da Prova d’Autore, prefato da Anna Vasta,  approfondisce gli assunti classici della versificazione i quali, per mezzo dell’impulsiva genialità del poeta, rifioriscono. Così, in un cosmo distinto dalla tenacia di una “precarietà” versatile, muta l’accezione del dolore, or ora, viatico per un appagamento, oltreché individuale, partecipato. Un canto pragmatico, garbatamente canzonatorio. Nondimeno, rivolto all’esistenza con gli “occhi danzanti” e fiduciosi di colui che lancia “un sasso”, poco importa che sia “piccolissimo” o, ancor meno, sia ignoto il destino che lo attende.
Grazia Calanna

domenica 22 maggio 2011

Le assi curve di Yves Bonnefoy (Mondadori)


Con la traduzione fedele di Fabio Scotto il mondo poetico di Bonnefoy si apre nel periplo dei ricordi, il libro inizia al passato (“Rauche erano le voci /delle raganelle la sera”); cieli estivi, crepitìo di fuochi e acque, sussulti vitali in un'intensa dialettica tra luci/ombre, notte/giorno, chiaro/scuro, parola/silenzio. Un universo a volte panteista e arcaico come in un dipinto di Delvaux o Böcklin, con apparizioni mitiche (Cerere, Marsia) e appelli accorati (che questo mondo rimanga, / malgrado la morte!”), dove l'amore a due è il tentativo di scalare l'assoluto (“i nostri corpi tentano il guado/ d'un tempo più vasto”) in una finitezza che vede tutto disfarsi e cedere all'ineluttabile (“tutto ciò, e che fu/ così nostro, ma/ non è che questo cavo delle mani/ in cui acqua non resta”). Il sogno fa da nocchiero tra le assi curve di barche-uomini desiderosi di poesia, passe-partout per la meraviglia (Io so che tu sarai, anche di notte, / l'àncora gettata, i passi barcollanti sulla sabbia /E la legna raccolta, e la scintilla”); rivelatrice di presenze folgoranti può diventare una crepa nel muro (“Ci piaceva che la crepa nel muro/ Fosse quella spiga da cui sciamavano mondi”) nella ricerca a tentoni della felicità e dell'impossibile immortalità. Iridescenti narrazioni nostalgiche d'un vitalismo verbale e simbolico, inquietudini in versi in una lotta a tu per tu con i propri demoni: familiari, linguistici, religiosi.
                                                                                                       
                                                                                                           Luigi Carotenuto

sabato 21 maggio 2011

Retro Parole di Giuseppe Amoroso

Retroparole
 “Ogni poesia è misteriosa; nessuno sa interamente cosa gli è stato concesso di scrivere”. Il pensiero, fisiologicamente stuzzicante, di Jorge Luis Borges sovviene dopo aver letto Retroparole (Poesia italiana 1982 – 2009) di Giuseppe Amoroso (Prova d’Autore), incantevole raccolta - altresì invogliante - di recensioni letterarie rivolte ai versificatori che hanno animato - eternandolo - un trentennio esistenziale. Il paragrafo intitolato a Mario Grasso, alla “vocalità di una scrittura capace di mettersi al servizio di ogni tema”, alle  “architetture cariche di slanci su cui esercita il prezioso controllo”,  schiude il volume. E ancora, delicatezza e zelo, prestati alle opere di Bartolo Cattafi “poeta scarnificato” che “sfoltisce” sino “al fondo oscuro delle cose”; Lucio Piccolo, aedo “assorto” che con la “mescolanza di toni di un raffinato e flessibile canto” afferra “sfaldarsi dei sogni” e “caduta dei miti”; Giuliano Gramigna, ironico, nostalgico, consapevole di  “un’essenza granulare del mondo”; Antonio Porta dalla “forza del verso, tinteggiato di leopardiana malinconia”, capace di “unire patimento e speranza”; Milo De Angelis, “abbagliato da un universo tentacolare e sfuggente… mai sottratto all’improvviso prorompere della luce”; Patrizia Valduga, percorrente itinerari in apparenza battuti “per liberare nuove note e collocarle in un’originale biblioteca d’amore e di morte”; Dario Bellezza e la parola, “spavalda”, “barocca”, “lineare”, che “si impenna in alchimie verbali”; Valerio Magrelli, “salace”, che “pianta nei testi il cuneo della manomissione ironica”; Antonio Di Mauro e la “levità sospesa” che “accarezza i versi e li raccoglie integri in un’aria dipinta di soave lindura”;  Roberto Mussapi, “capace di trovare l’oltre dove vacilla la cornice dello sguardo”; Nelo Risi, accorto testimone di una “società che sbanda” e, non ultimo, di concerto con numerosi altri protagonisti della selezione, Andrea Manzi che con i propri versi, colmi di passione e di euforie, fa emergere “come spezzoni di un dominato caos metropolitano, anche i diafani colori della quiete”.
Grazia Calanna

Spoesie di Nadia Cavalera (Fermenti)

Spoesie
di Nadia Cavalera (Fermenti)
 
Si presenta armata la poesia di Nadia Cavalera. Armata di logos e pathos, ragione e pietà profonda per gli uomini che portano la croce quotidiana del precariato e delle ingiustizie sociali; pietà per la natura sottomessa, soffocata dall'ottusità politica e imprenditoriale. I suoi versi indignati mirano dritto ai veri problemi del nostro Paese, dagli abusi alla hybris del Presidente del Consiglio, con la complicità degli altri organi di Stato, fino all'inerzia colpevole degli elettori. “L'infelicità va sottoposta a critica”, scrive, “ché la vera salvezza c'é e tanta / al di fuori”; fuori da ogni ricatto morale, ideologico, venga dai partiti (senza risparmiare una Sinistra accomodante) o dalle autorità ecclesiastiche. Lessico rovente, caustico, parole in difesa del popolo, di quel “proletariato / violentato per definizione nei secoli dei secoli”, inviti alla Resistenza e al risveglio delle coscienze civili, etiche, morali, con la forza di un dettato lucido, libero (originalissima la punteggiatura), partecipato oltre che lirico “(: può esserci un sogno sopra il dirupo?)”. Nonostante tutto e tutti, un ostinato, religioso, credo quia absurdum “(: solo l'assurdo può essere creduto)” nei confronti di un riscatto umano e sociale possibile, da parte di una donna che si ridurrebbe “lontan'esule in un'umile stanza”, in autoesilio sacrificale, pur di veder riconsegnate alla nazione le proprie “armi belle”, ovvero la bellezza, i sentimenti, la giustizia e rifiorita così la vera humanitas.
                                           Luigi Carotenuto