venerdì 23 settembre 2011

Lo scrittore Claudio Bagnasco ospite a Penne Estroverse


Lo scrittore Claudio Bagnasco ospite a “Penne Estroverse”

Incontro culturale sabato 01/10 alla Biblioteca Comunale di Zafferana Etnea

“A Carla piace, quando ha tempo, stendere i principali quotidiani nazionali sul letto e leggere in ognuno la medesima notizia, per scoprire in quanti modi diversi ma in fondo identici si possa essere lontani dalla verità…”. 
Un estratto  dal racconto "E adesso?" parte integrante del libro “In un corpo solo” di Claudio Bagnasco (Quarup edizioni) che per il ciclo di appuntamenti culturali  Penne EstroVerse,  colloquiando con gli autori...” sabato 01 ottobre, ore 18.30,  sarà accolto dalla Biblioteca Comunale (Palazzina Liberty Parco Comunale) di Zafferana Etnea (CT).
L’evento promosso dall’associazione culturale EStrolab, con il patrocinio dell’assessorato alla cultura del Comune di Zafferana Etnea, sarà moderato dalla giornalista Grazia Calanna. Relatrice la dott.ssa M. Gabriella Puglisi  (Dottore di Ricerca in Pedagogia – Università degli Studi di Catania). Letture a cura dell’attore Eugenio Patanè. Momenti musicali con il chitarrista Dario Matteo Gargano. Ingresso libero.



Claudio BAGNASCO - Nato a Genova nel 1975, Claudio Bagnasco ha precocemente deformato la sua lingua studiando l'opera di Cesare Viviani, alla cui poesia ha infine dedicato la tesi di laurea. Debutta con Luciana nel 2007, e mostra una nuova maturità scrittoria in Silvia che seppellisce i morti nel 2010. In un corpo solo è la sua prima raccolta di racconti e racchiude narrazioni brevi scritte tra il gennaio 2005 e il luglio 2006


Ufficio Stampa ESTROLAB

giovedì 15 settembre 2011

CORSI DI FORMAZIONE IN COMUNICAZIONE (PUBLIC SPEAKING - SCRITTURA PROFESSIONALE E CREATIVA)

Formazione e training professionale in Comunicazione

Sono aperte le iscrizioni per i CORSI di FORMAZIONI in:


 - PUBLIC SPEAKING, Comunicazione efficace interpersonale e in pubblico
Docente: Elisa Toscano (Consulente e Formatore in Relazioni Pubbliche e Marketing)


 - SCRITTURA PROFESSIONALE E CREATIVA, comunicazione e tipologie testuali 
 Docente: Grazia Calanna (Formatore in Scrittura e Comunicazione Didattica, Direttore Responsabile peridoico culturale l’EstroVerso)


INFORMAZIONI: info@parlareinpubblico.it - tel. 095/8363299 - www.parlareinpubblico.it




lunedì 8 agosto 2011

Luigi Carotenuto “La poesia è politica nel senso originario”

di Grazia Calanna
(La Sicilia Cultura del 7 agosto 2011)


A tre anni dall’uscita del libro “L’amico di famiglia”, raccolta poetica, prefata dal critico letterario Anna Vasta, distinta dal proposito di mettere alla berlina i costumi sociali, le prassi sentimentali, canzonando degradanti luoghi comuni, il poeta catanese Luigi Carotenuto, con Prova d’Autore, conferma le proprie peculiarità liriche con il secondo lavoro intitolato “Vi porto via”.  Persistenti e incisive immagini mentali costellano la volta poetica dell’universo del Carotenuto, che riesce a piegare la parola al suo fulgente pensiero, focalizzando i nodi esistenziali dell’uomo”, si legge nell’introduzione del prof. Gaetano Vincenzo Vicari. Versatile, melanconico, ilare, istintivo, pragmatico, beffardo, sognatore, mordace, fiducioso. È, al di là degli “steccati”, l’esteso richiamo poetico di Carotenuto. “Leggendo le sue liriche capiamo - dichiara il curatore letterario Mario Grasso -,  che ci troviamo di fronte ad un poeta che si contraddistingue per la capacità di donare momenti salvifici, intrisi di satira, con tangibile disinvoltura e semplicità. Un conto infatti è l’autenticità, un conto sono sofisticazione e artigianato. La poesia è vita, deve esprimere con sincerità il proprio mondo interiore. Carotenuto interpreta l’animus degli altri e lo fa con grazia, con lealtà, con leggerezza”.  Il vate, sebbene cosciente dell’altrui preferenze, “mi vorrebbero muto come un sasso”, diviene testimone di un’epoca dubbia. Versi “arcobalenanti”, come sfumature di un “lungoprato fiorito fiorente”, germogliano, ora dal sogno, ora dal realismo, “nel gioco delle parti si risolve la giornata”. Parole precettrici incedono, incidono l’animo come fossero sberle officinali ansiose di vivificare uomini-fantocci, “in vetrina”. Viandanti, “senza lascito memoriale”, strappati ai fasti dello stupore. Eroi romantici senza “cavalli da domare / duelli per amore / … / un io da difendere / un tu da salvare”, interpreti spenti di un mondo menzognero, “virtuale”, traboccante di solitudine reale.  Parole indocili addosso al becero conformismo dell’apparenza. Parole di un amore nitido, assoluto, per un “girotondo” infinito di bimbi bisognosi d’ascolto, e di un sorriso leale.  
“Un tempo si credeva che lo zucchero si estraesse solo dalla canna da zucchero, ora se ne estrae quasi da ogni cosa; lo stesso per la poesia, estraiamola da dove vogliamo, perché è dappertutto”. Una premessa con Gustave Flaubert per chiederle: cos’è la poesia?
La poesia è memoria della vita offesa, come aveva detto Adorno a proposito dell’arte, e in tal senso fa ed è storia. È politica senza mai politicizzarsi, è l'unico atteggiamento “politico” nel senso originario e più alto. La poesia, ancora, è sogno incarnato, trasposizione di emozioni cristallizzate. Nasce e muore con l'uomo, resterà sempre attuale anche se deprezzata come, particolarmente è, in questo momento storico. L'attuale poesia, a parte le dovute eccezioni sempre più rare, è più un atteggiamento, una posa, un costume rozzo e ignorante che fa passare la prosa più becera e mediocre per aulico versificare. Il quotidiano inutile viene declamato a voce muta e uno pseudo ermetismo dietro il nume protettore dell'oscurità del poetare nasconde incompetenza, mancanza di idee e sentimento; non ultimo e forse il più dilettantistico e diffuso degli atteggiamenti è quello del sentimentalismo vuoto, banale, privo di senso di realtà e incantamento rivelatore (doti della vera poesia a mio parere), dove tramonti, gabbiani, solitudini, amori e gioie sono combinati insieme alla maniera della catena di montaggio e, delittuosamente, le parole vengono costrette a un “senso” unico, privo di qualunque traccia permanente”. 
Qual è il poeta italiano contemporaneo cui fa riferimento?
“Apprezzo molto Andrea Zanzotto, innovatore e sperimentatore del linguaggio poetico che sa mantenere nei propri versi il lirismo alto della poesia classica”.
Quando è nata la sua passione per scrittura e letteratura?
“Alle scuole elementari. Ricordo una lezione di storia, si parlava della guerra civile spagnola e alcuni miei compagni ironizzarono sul quadro di Picasso Guernica, definendo sgorbi quei pezzi di uomini e animali smembrati; la maestra  si alzò e cominciò, con grande pathos ai miei occhi di bambino, a descrivere gli orrori della guerra, le vittime e la tragedia del morire, finì il suo discorso in lacrime. Forse, almeno inconsciamente, da lì è partito il seme di un senso critico ed estetico, l’idea che l’arte, e quindi anche la letteratura, fosse  una cosa seria e soprattutto avesse realmente a che fare con la vita”.  
Un pensiero di Virginia Woolf, “è proprio vero che la poesia è deliziosa, infatti la prosa migliore è piena di poesia”, per chiedere, se le piacerebbe dedicarsi alla prosa poetica.
“La prosa poetica, programma ambizioso... ma la scrittura non può programmarsi più di tanto se si ha intenzione di scrivere con una certa onestà, di sicuro idealmente vorrei che la mia prosa contenesse lirismo, anzi, senza l'elemento lirico non immagino nemmeno un buon romanzo; mi piace poco questo proliferare di autori noir e giallisti, scorgo in questa passione per tali letture, tutta la miseria del genere umano, il lato voyeuristico legato al pettegolezzo e al gossip, frugare senza rispetto nelle vite (e soprattutto nelle morti) degli altri. E perché non si pensa a questa morte in vita dell'uomo? Mi appare molto più interessante indagare sul senso del nostro tempo, sul senso dell'uomo, invece che raccogliere una serie di eventi, sbattere “mostri” in prima pagina. La tragedia non è nella cronaca, ma nei motivi ontologici che spingono l'essere umano a questo tipo di cronaca, e questa serie di scrittori sono responsabili del degrado intellettuale perché non forniscono e, molte volte non hanno, elementi concettuali sui quali far meditare i lettori”.
GRAZIA CALANNA

martedì 21 giugno 2011

Cattafi, maestro e indimenticabile compagno

L’intervista di Luigi Carotenuto
Cattafi, maestro e indimenticabile compagno
L’intimo racconto della moglie Ada

Bartolo Cattafi (Barcellona Pozzo di Gotto, 6 luglio 1922 – Milano, 13 Marzo 1979) è stato uno dei poeti più originali e appartati della seconda metà del novecento italiano, numerose le sue raccolte di liriche, quasi tutte per le edizioni Lo Specchio Mondadori tra cui ricordiamo: Nel centro della mano (1951), libro d’esordio, Le mosche del meriggio (1958), L’osso, l’anima (1964), La discesa al trono (1975), Marzo e le sue Idi (1977), L’allodola ottobrina (1979) e le postume Chiromanzia d’inverno (1983) e Segni (1986, edizioni Scheiwiller). Da segnalare inoltre, tra i vari interventi apparsi su riviste specialistiche e libri, il doppio n. 6/7 di Lunarionuovo, rassegna di letteratura diretta dal poeta Mario Grasso, interamente dedicato a Cattafi, con i contributi critici oltre che del letterato acese, di Sciascia, Spagnoletti, Giudici, Betocchi, Addamo, Sereni, Raboni, Bo, Cucchi e altri. Abbiamo avuto il piacere di intervistare la moglie, Ada De Alessandri Cattafi.
Il vostro incontro. L’innamoramento. Le va di raccontarci come vi siete conosciuti e alcune delle cose che avevate in comune?
“Incontrai Bartolo nel 1966 mentre lavoravo alla «Grandi Viaggi» di Milano. Veniva spesso in direzione a trovare i proprietari, Ermanno Amori e il figlio Silvio, suo caro amico e compagno di avventure. Nel dicembre dello stesso anno lo rividi a Londra, dove nel frattempo mi ero trasferita per motivi di lavoro. Bartolo mi chiese di fargli da guida e interprete per una giornata, alla fine della quale ci lasciammo, ripromettendoci di risentirci al mio rientro a Milano per le vacanze natalizie. Conservo ancora il suo telegramma: «Ti ricordo, ti penso, ti aspetto.» Il 26 giugno 1967 ci sposavamo in Scozia, ospiti del suo amico e traduttore George Kay. Bartolo era sulla quarantina. Aveva da poco consolidato la sua situazione economica grazie all’esproprio per pubblica utilità di un suo fondo agricolo. Dal punto di vista sentimentale era reduce da una complicata vicenda amorosa. Io avevo ventidue anni, un lavoro promettente e una vita ricca di interessi e relazioni nella swinging London degli anni ’60. Di certo scattò quella miscela di attrazione fisica e psichica che chiamiamo innamoramento, ma credo sia accaduto qualcosa di più profondo, che suscita ancora oggi la mia commozione. E’ stato come un “riconoscersi”. Credo appartenessimo entrambi a quella razza bisognosa di auguri, di cui Cattafi parla nella poesia autobiografica intitolata Cancro (L’aria secca del fuoco). Entrambi alla ricerca di autenticità, trasparenza, gratuità”.
Com’era in veste di padre e di marito?
“L’esperienza della paternità ha suscitato in lui sentimenti profondi e complessi. Alla gioia della mia inattesa gravidanza – Elisabetta è nata nel 1975, dopo otto anni di matrimonio – faceva da tragico contrappunto il pensiero dell’avvicinarsi della morte che Bartolo da tempo avvertiva in sé. Lo testimoniano le struggenti poesie dedicate alla piccola nella plaquette scheiwilleriana 18 Dediche, che hanno il sapore di un addio. Per quanto mi riguarda, vivere accanto a un personaggio come Bartolo è stato di certo impegnativo. Era esigente con se stesso e con gli altri. Ma io ero sinceramente innamorata e, con il trascorrere degli anni, sempre più consapevole della sua ricca personalità di uomo e di artista. Sono molti gli amici che possono testimoniare la sua calda umanità e la stabilità dei suoi affetti. Nel ménage quotidiano temperava con ironia la sua visione tragica della vita. La sua più vasta cultura ed esperienza non ci hanno impedito di vivere quella solidarietà e complicità alle quali ho accennato. Gli sono grata per il rispetto e la delicatezza con i quali ha accompagnato i tempi della mia crescita. E’ stato per me un maestro, oltre che un indimenticabile compagno”.
Partecipava alla stesura dei testi poetici di suo marito in qualità di suggeritrice, complice o Bartolo Cattafi scriveva in stato di solitudine inalterabile?
“Come il Paguro dell’omonima poesia de L’allodola ottobrina, Cattafi, protese le sue parti più porose / nella torbida broda circostante, assorbiva e metabolizzava sensazioni provenienti da una attenta, quasi maniacale osservazione della realtà. Scriveva dappertutto, in casa, per strada, sui mezzi pubblici, si alzava anche di notte per fissare i suoi pensieri. In questa fase ogni frammento del reale, ogni incontro, ogni lettura, ogni evento, poteva divenire fonte di ispirazione. La fase successiva, quella della elaborazione formale, avveniva in solitudine, nel suo studio. Io mi ero offerta di copiare a macchina i testi definitivi da lui manoscritti e, durante questa operazione, gli  chiedevo spiegazioni e approfondimenti o segnalavo qualche mia perplessità. Le copie dattiloscritte venivano infine sottoposte al giudizio degli amici Scheiwiller, Sereni e Forti. A cominciare da L’aria secca del fuoco, Raboni, che aveva conosciuto Bartolo in occasione dell’uscita de L’osso, l’anima, lo aiutò a strutturare le raccolte mondadoriane e ne redasse tutti i risvolti di copertina. Fu a lui che Cattafi affidò i testi di Segni e di Chiromanzia d’inverno, dei quali Raboni curò la pubblicazione postuma”.
Le descrizioni di campi, fiori e mondo agreste sono spesso presenti nell’opera di Cattafi. Qual era il rapporto del poeta con la natura?
Credo fosse un rapporto simbiotico, di compenetrazione. Ma lascio volentieri la parola all’amica Silvia Fleires, autrice di un illuminante saggio sull’argomento, intitolato Simbologia arborea e dendromorfismo nella poesia di Bartolo Cattafi. Dopo aver citato la poesia Ragioni de L’allodola ottobrina, la studiosa conclude scrivendo: «La circolarità biologica tra umano e vegetale non è chiusura al tempo e alla storia, rappresenta piuttosto, aliena da qualsiasi funzione consolatoria, un momento rigenerativo e preparatorio, che permette a Cattafi di affrontare lo schianto, il turbine del mondo.»”.
Lei ha scritto il libro La spiritualità di Bartolo Cattafi, può raccontarci il rapporto che lo stesso aveva con la fede, quali le letture più in sintonia col suo spirito?
“Non poteva essere che una lotta con l’angelo, un rapporto segnato dalla complessità e contraddittorietà della vita, che si è andato chiarendo nel tempo. Il Dio di Cattafi - senza dubbio il Dio trinitario cristiano -, ingenuamente esibito nella fase giovanile, verrà progressivamente minuscolizzato, riapparendo all’improvviso, talvolta in incognito, con un andamento carsico fino alle ultime poesie, quando rivendicherà il suo ruolo di interlocutore fondamentale del poeta. Le citazioni bibliche, tratte in prevalenza dai profeti e dai vangeli, sono ripresentate con un linguaggio originale, incarnato nel vissuto e nel contesto culturale dell’autore. Cattafi era molto devoto a Maria, alla quale ha dedicato alcune poesie in occasione di un pellegrinaggio a Lourdes, fatto per adempiere un voto. La poesia François, che si ispira - con la consueta punta di ironia- alla figura di un generale dei Brancardiers, mi pare emblematica delle fede che Cattafi ebbe il rammarico di non avere vissuto in modo più coerente e lineare: T’invidio Ossa Dure / celta dal duro occhio celeste / cadi di schianto in ginocchio / sul gradino più basso / (col tuo peso lo incrini) / vero spirito e vero corpo / greve e leggero davanti alla Signora / le braccia allargate / le palme verso l’alto / eri di quelli che salivano d’un balzo / gradini e montagne / che i Mori li facevano a pezzettini. (Poesie 1943-1979). Tra i testi presenti nella biblioteca del poeta vi sono diverse edizioni della Bibbia, i Vangeli apocrifi, il Corano, i detti di Buddha e di Confucio, poemi cosmogonici e teogonici di varie religioni e, tra gli altri, Agostino, Pascal, Kierkegaard, Bernanos, Eliot, Lisi, Betocchi, Rebora e Luzi”.



www.lestroverso.it n.3 / 2011

lunedì 20 giugno 2011

LA VOLTA POETICA DELL’UNIVERSO DI LUIGI CAROTENUTO Un testimone di un’epoca dubbia

LA VOLTA POETICA DELL’UNIVERSO DI LUIGI CAROTENUTO
Un testimone di un’epoca dubbia

Camaleontico, saldo, spontaneo, realista, beffardo, sognatore, provocatorio, fiducioso. È, al di là degli “steccati”, l’esteso richiamo poetico di Luigi Carotenuto, voce singolare per  sapienza introspettiva e letteraria. Un giovane autore, sebbene cosciente dell’altrui preferenze, “mi vorrebbero muto come un sasso”, diviene testimone di un’epoca dubbia. Versi arcobalenanti, come sfumature di un “lungoprato fiorito fiorente”, sbocciano, ora dal desiderio, “non si lasci espugnare la vita”, ora dal disincanto, “nel gioco delle parti si risolve la giornata”. Roghi intimisti, “m’infransi contro gli scogli / della terra e piansi”, rischiarano, riscaldano, uno sguardo, proteso sul “perenne protervo protetto carnevale”, derisorio, “insepolcrato il pensiero / i vivi celebrano i morti”, caustico, “avidi / poteste lucrare nell’aere / se solo aveste / l’immunità celeste”, speranzoso, “i bambini non scendono a patti col mondo / hanno tasche colme di rivoluzioni colorate”, prova tangibile dell’urgenza della poesia, balsamo sostanziale per  “anime senza posa”. Parole pedagoghe incedono, incidono l’animo come fossero sberle officinali desiderose di vivificare uomini-fantocci, “in vetrina”. Viandanti “senza lascito memoriale”, “accademici rivoluzionari / alchimisti del nulla / malinconici pre festino”, vite avulse allo stupore. Parole indocili addosso al becero perbenismo dell’apparenza, all’illusione di un cosmo finito “a portata di dito”. Parole di un amore nitido, incondizionato, per un “girotondo” infinito di bimbi ai quali dedica il proprio salvifico “Vi porto via”.  Un testo, edito da Prova d’Autore, prefato da Gaetano Vincenzo Vicari che sottolinea: “Persistenti e incisive immagini mentali costellano la volta poetica dell’universo del Carotenuto, che riesce a piegare la parola al suo fulgente pensiero, focalizzando i nodi esistenziali dell’uomo. Il poeta ha la forza mentale e il rigore intellettuale per adagiare, con una saggia padronanza dei mezzi linguistici, la parola poetica nello scrigno stagionato della conoscenza”.
GRAZIA CALANNA


(La Sicilia Cultura 19.06.2011)

Gocce di notti silenziose

Gocce di notti silenziose di Aurora Romeo



Intinge “la penna nel rosso del furore, dentro magma ribollente”. Nostalgica, come il presente che “trafigge la vaporea figura d’una vita trasparente”. Incandescente come fiamma “che arde e si consuma lenta”. Tenace, come “l’edera” che “vigorosa e trionfante” si abbarbica alle pareti dell’intenzionale isolamento, in prospera solitudine. Una “voce senza eco” che si tramuta in “divina favilla, Poesia, sete d’immenso”. Un richiamo in “soffi” d’essenza “ridestata”,  quello di Aurora Romeo, giovane autrice di “Gocce di notti silenziose”, silloge edita da “Prova d’Autore”. La poetessa interroga la notte affinché con “voce bianca” e risonante possa svelare segreti beffardi, propri di un “passato immutabile”, custoditi dal vento. Reminiscenze dalle “pallide gote”, basta sfiorarle affinché  l’atmosfera si addolcisca. Il crepuscolo inoltrato, pacatamente, diviene “rifugio di intimi rapimenti”, irrinunciabile “culla stellata di pace e di umani sogni”. Versi coesi che narrano di un mondo sovrastato da una “coperta di cielo” che “col suo bacio freddo” cinge senza mai scaldare. Di un campo che ha rigettato l’inerme aratro, “sconfitto, piegato dalla colpa di un libero arbitrio infame”. Di un grido raccolto, “lo spezzan le pietre”. Di un canto “muto”, intento a ricamare nel vuoto  “vane corolle… petali amari dal polline mendace”.
GRAZIA CALANNA



giovedì 16 giugno 2011

M'ama non m'ama

M'ama non m'ama
Quale stupido modo di sciupare un fiore
 m'ama non m'ama per decidere il tuo amore
 e intanto ho raso al suolo la vegetazione
 cercando un petalo che approvasse
 questo maledetto amore.
                                                    (ANTEPRIMA da Vi porto via, edizioni Prova d'Autore giugno 2011)